Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.
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Basta nominare Terry Brooks per percepire un senso di profonda devozione. Gli appassionati di saghe fantasy non possono non conoscere il nome di uno tra gli autori più famosi di romanzi di questo genere. È a lui che dobbiamo la creazione di un universo immenso pieno di magia, storia e tradizioni, un mondo di cui per molto tempo non abbiamo desiderato altro che fare parte. Per la maggior parte della sua vita, lo scrittore si è rifugiato nei suoi libri, tra i suoi personaggi, e ha permesso a chiunque di fare altrettanto. Per quarant’anni (e più di 30 romanzi) ha fornito a tutti i suoi lettori un posto in prima fila per le Quattro Terre, un luogo che affonda le proprie radici nell’estinzione della razza umana a seguito di conflitti mondiali avvenuti nel XXI secolo.
Stiamo parlando di capolavori del genere high fantasy, di qualcosa che sarebbe impossibile dimenticare e che al giorno d’oggi difficilmente ha eguali.
Se il primo testo della saga (La spada di Shannara) risale al 1977 e fa parte della prima trilogia composta dall’autore (conosciuta come Il ciclo di Shannara), la prima stagione della serie tv co-prodotta da MTV ha visto la luce solo nel 2016 ed è basata invece sul secondo libro di questa trilogia, Le pietre magiche di Shannara. Ma trarre ispirazione da alcuni tra i romanzi fantasy più conosciuti del mondo non è bastato per rendere The Shannara Chronicles un prodotto all’altezza. Se non si riesce a dare credibilità alla storia, a trovare attori in grado di trasmettere emozioni e sentimenti e a dare vita a un’ambientazione che sappia essere realistica e al tempo stesso intessuta di magia, non sembra possibile avere il giusto impatto per una serie di questo genere.
Di punti deboli The Shannara Chronicles ne ha parecchi ed è proprio un enorme peccato.
Il tentativo di seguire le orme di Game of Thrones, traendo trama e personaggi da una saga così potente ha fatto perdere di vista ai creatori Alfred Gough e Miles Millar il vero potenziale di una saga come questa. Qui non abbiamo l’atmosfera medievaleggiante e oscura tipica della serie tratta dai romanzi di George R. R. Martin, ma più un luogo di nuovo dominato dalla presenza della natura, in cui gli umani sono ormai solo un lontano ricordo e la Terra è tornata al suo essere originario, grazie a elfi, druidi, gnomi e molte altre creature. Ovviamente le minacce a questo mondo in apparenza armonioso non mancano, e un nemico antico e crudele stringe gli elfi e gli altri popoli nella sua morsa letale.
I personaggi che per anni hanno alimentato la fantasia dei lettori con le loro avventure, con The Shannara Chronicles prendono finalmente vita, ma forse non lo fanno nel modo migliore. A vestire i panni del giovane mezzelfo Wil Ohmsford c’è un Austin Butler che, come direbbe qualcuno, “è bello ma non balla“. Le doti recitative dell’attore statunitense non sono in grado di rendere giustizia a un personaggio dalla storia difficile e dal destino in apparenza impossibile da compiere.
Allo stesso modo Poppy Drayton, che veste i panni della principessa degli elfi Amberle Elessedil e Ivana Baquero, la Nomade Eretria non riescono a dare credibilità fino in fondo ai rispettivi personaggi. Espressioni poco autentiche e forzate, dialoghi prevedibili e soliti intrecci amorosi rendono buona parte di questa serie tv quasi più vicina a un teen drama e a un prodotto young adult qualsiasi che a una delle più famose saghe fantasy di sempre. Il pubblico non riesce a empatizzare fino in fondo con loro, e ciò contribuisce solo ad aumentare la quantità di potenziale terribilmente sprecato.
Per la maggior parte del tempo i protagonisti sembrano essere travolti da una veloce carrellata di eventi inarrestabili e non sembrano esserci un vero carattere e delle vere motivazioni dietro le scelte che compiono. Per quasi tutti gli episodi è come se fossero solo in balia di una forza più grande che li trasporta, troppo occupati ad accettare passivamente le decisioni che altri devono fare al posto loro. Non c’è complessità psicologica, non ci sono sfumature dietro le azioni di Wil, Amberle ed Eretria e questo permette forse solo a un pubblico davvero giovane di identificarsi con loro.
Uno dei pochi membri (se non l’unico) del cast capace di essere più naturale e di mettersi alla prova nelle scene più complicate da realizzare è Manu Bennett (interprete di Allanon, l’ultimo Druido). Ma Bennett, che pure ha più esperienza in campo cinematografico, da solo non è certo in grado di portare avanti una serie tv che spesso non riesce a trovare originalità nemmeno negli scambi di battute tra i protagonisti. Questo mette in luce anche una sceneggiatura a tratti debole, che si accompagna a una pessima gestione delle tempistiche per i movimenti dei personaggi all’interno della mappa delle Quattro Terre, non permettendo agli spettatori di avere una cognizione realistica dei territori e dello spazio di questo mondo in cui invece dovrebbero essere catapultati realisticamente fin dall’inizio.
Come se non bastasse, ci sono altri elementi che non contribuiscono a rendere naturale la sospensione dell’incredulità da parte del pubblico.
Sebbene molte scene di The Shannara Chronicles siano state girate in Nuova Zelanda, molte altre sono state realizzate in computer grafica e questo negli episodi che compongono la serie risulta fin troppo evidente. Così come a volte i personaggi sono circondati da una luce artificiale che, seppur cercando di avvolgerli in un’atmosfera magica che tenta di emulare l’operato di Peter Jackson in molti momenti del suo lavoro con Il Signore degli Anelli, finisce per risultare troppo forzata. Anziché immergere ancora di più negli avvenimenti, questa fa allontanare lo spettatore, che ne percepisce subito l’artificiosità.
La fotografia della serie co-prodotta da MTV punta spesso su colori troppo accesi che, se in alcuni casi servono a mettere in risalto particolari elementi della storia (come ad esempio il blu traslucido delle pietre magiche di Wil o il rosso sangue delle foglie dell’Eterea, antico albero custodito dagli elfi), in altri non fanno che restituire solo un’idea di evanescente irrealtà.
Persino i costumi utilizzati non sanno trasmettere davvero l’appartenenza degli individui a un popolo specifico. Non sono il simbolo delle loro tradizioni e della loro storia lunga secoli. Gli elfi ad esempio sembrano essere caratterizzati davvero solo dalle orecchie a punta. Nessun tessuto particolare, nessun abito realmente riconoscibile come nato dalle usanze di una cultura così longeva.
Tirando le somme, la realizzazione di una serie come The Shannara Chronicles poteva essere gestita decisamente meglio.
La Sonar Entertainment, che nel 2012 ha acquistato i diritti televisivi della serie di libri, avrebbe potuto avere una quantità pressoché infinita di materiale da elaborare e portare sul piccolo schermo con impazienza ed entusiasmo del pubblico. Purtroppo però, questo prodotto non è riuscito a sostenere il peso dei romanzi di cui avrebbe dovuto essere l’erede e, poiché la seconda stagione (andata in onda nel 2017) ha ottenuto ancora meno successo della prima, possiamo essere quasi certi che ormai non ce ne sarà una terza.
Non ci resta altro che rimuginare su quanto poteva essere fatto meglio, e aggiungere questa alle innumerevoli saghe fantasy rovinate e stravolte dall’ambizione di chi non ha saputo valorizzarle nel modo giusto. Ma se vogliamo smetterla di rimpiangere le scelte sbagliate di qualcun altro possiamo decidere di dare il via a un nuovo capitolo della nostra vita, radunando i primi (o tutti i) romanzi della saga e cercando di dare una forma e un’identità tutte nostre alla storia degli Shannara e alle avventure che hanno vissuto nel corso delle generazioni. Possiamo ancora scegliere come restituire magia a un universo che negli anni ce ne ha regalata davvero tanta.