Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico.
Utilizzare con originalità i luoghi comuni e gli stereotipi di un intero genere senza risulta noiosi o prevedibili è un compito sempre più difficile. WandaVision ha saputo creare un prodotto per certi versi innovativo tramite pochi e semplici espedienti: partendo da un universo narrativo già delineato, la scrittura ha saputo inserire la storia in un genere apparentemente in contrasto con i toni tenuti fino a quel momento, testandone i limiti diegetici con l’obiettivo di confondere, guidare – e successivamente stupire – gli spettatori senza tradire mai l’intento iniziale di omaggio e richiamo alla cultura pop delle sitcom americane.
Un lavoro così ben fatto denota uno studio e una conoscenza approfondita non solo del tipo di pubblico potenziale della serie, ma anche dei meccanismi e delle tecniche di narrazione tipiche del genere comico. Per capire al meglio l’intento di WandaVision – e soprattutto quello del suo finale – bisogna rispondere ad alcune domande fondamentali. Che ruolo ha l’audience in una serie così studiata? Come utilizzare al meglio i propri personaggi? Come mantenere fino all’ultimo l’hype?
Marvel Cinematic Universe come punto di partenza
Più volte i film della Marvel – che compongono un vero e proprio universo a parte rispetto a quello originario dei fumetti – sono stati denigrati per la loro poca originalità. Basta conoscere un minimo le storie di questi personaggi per sapere a grandi linee chi sono i buoni, chi i cattivi e per poter godersi la visione di questi prodotti senza essere minimamente sorpresi dagli eventi.
WandaVision pone delle basi apparentemente molto più destabilizzanti: i primi due episodi, in particolare, rappresentano un omaggio palese e molto fedele alle sitcom americane degli anni ’50 e ’60. All’inizio la ricezione di queste puntate ha confuso il pubblico perchè, pur non proponendo nulla di nuovo, era in netto contrasto con le narrazioni tipiche del MCU piene di azione.
Dove risiede dunque l’originalità in WandaVision, viste le chiare e dichiarate ispirazioni televisive?
L’essere originali non è sempre stata una prerogativa importante in ambito artistico: questa caratteristica è considerata un valore aggiunto soltanto da un paio di secoli. Con la corrente artistica del Romanticismo, infatti, gli autori hanno voluto rompere con la tradizione ricercando nelle storie meccanismi e temi ancora inesplorati inesplorati e lodando quelle opere che non richiamavano il canone dell’epoca, ma anzi provavano a sovvertirlo.
Nell’antichità, invece, il richiamo – o meglio, il riadattamento di opere o temi già conosciuti – veniva visto come un modo sapiente di intrattenere il pubblico: solo cogliendo le citazioni quest’ultimo riusciva non solo a divertirsi, ma anche a sentirsi incluso in una narrazione che prevedeva delle pregresse conoscenze. In WandaVision viene ripreso esattamente questo tipo di approccio, dove il piacere maggiore deriva dal riconoscere i richiami e dalla curiosità di scoprirne il contesto senza essere distratti dalle informazioni che si crede di conoscere.
Wanda: personaggio o autore?
Il personaggio di Wanda è, sin dal primo momento, l’assoluto fulcro della serie: già dal titolo, WandaVision, è sì l’accostamento dei nomi dei due Avengers, ma anche e soprattutto un gioco di parole che indica l’appartenenza autoriale della realtà in cui veniamo catapultati.
Questo controllo della situazione è lampante sin dalla prima puntata: senza una vera spiegazione, Wanda e Visione si ritrovano a dover fare i conti con i problemi, per quanto eccentrici, di una normale coppia di sposini. Impressionare il capo con una cena luculliana o diventare amica del gruppo di mogli della cittadina diventano i perni narrativi attorno cui ruotano simpatici sketch comici. Tutto è studiato per rendere al meglio quest’aria di superficiale tranquillità: perfino le “pubblicità” che si inseriscono tra le varie scene si rifanno alla televisione degli anni ’50.
Piccoli dettagli però lasciano intendere che questa “realtà” è frutto di un’anomalia: se nel primo episodio è l’incapacità dei protagonisti di dare più informazioni su di loro, nella seconda è l’arrivo di un misterioso apicoltore dal tombino di fronte casa. Questi imprevisti però vengono subito cancellati: come fossero dei veri e propri tagli di montaggio, i personaggi dimenticano subito o ripetono la scena daccapo. Se all’inizio anche Wanda sembra essere inconsapevole di ciò che sta succedendo, con il terzo episodio si inizia a delineare il suo ruolo autoriale.
È lei che infatti che fa procedere nei decenni i vari episodi, cambiando non solo i connotati a tutta la città – e ai suoi abitanti -, ma organizzando la narrazione con i ritmi, i costumi e le gag tipiche del periodo in cui l’episodio ha luogo.
Dalla terza puntata – che in un cambio vede l’introduzione del colore – questo processo diventa sempre più palese. Per distrarre se stessa e Visione da queste continue interruzioni arriva perfino a inserire una gravidanza nella propria storia, accellerandone il ritmo: il momento culmine arriva con la cacciata dall’Hex del personaggio di Monica Rambeau. Dopo averle ricordato la morte del fratello Pietro, Wanda reagisce con violenza e, cercando di proteggersi dal mondo esterno, butta letteralmente fuori la donna riconoscendola come un’intrusa nella storia da lei progettata.
Sitcom come rifugio: meta-narrazione del pubblico
Da questa rivelazione è facile notare come gli autori della serie abbiano voluto creare una narrazione meta-televisiva: la realtà alternativa è per Wanda un modo di rifuggire al proprio lutto così come la serie stessa in sè è un momento di evasione per il proprio pubblico.
Dalla terza puntata in poi il controllo su questa narrazione inizia gradualmente a deteriorarsi: le sigle e le pubblicità divetano più inquietanti (si passa infatti da piccoli easter egg sul mondo Marvel a messaggi di Hydra riguardo al “fuggire in un mondo proprio”). Perfino lo stesso Visione si rende conto che qualcosa non va: “Credo ci sia qualcosa che non va qui, Wanda” e guarda distrattamente in camera, rompendo la quarta parete senza neanche accorgesene sul serio.
Tutto ciò diventa lampante nel momento in cui scopriamo cosa è successo al di fuori dell’incantesimo di Wanda. Al di fuori, lo SWORD monitora ogni cosa e, tramite l’intuizione di Darcy, gli agenti iniziano a seguire la trasmissione come fossero il pubblico di questa serie. Non solo quindi una sitcom nella serie, ma anche personaggi che si comportano come pubblico interno, commentando, speculando e perfino cercando di anticipare le svolte narrative basandosi effettivamente sui clichè del genere e riadattando queste aspettative in base ai cambiamenti temporali voluti dalla nostra protagonista.
Ecco quindi la vera originalità di WandaVision: creare un prodotto che utilizza le linee narrative di un genere per commentarne non solo l’importanza come veicolo di sicurezza che la televisione rappresenta per il pubblico, ma anche l’atteggiamento che il pubblico stesso intrattiene col prodotto.
Agnes come strumento narrativo
Nel momento in cui Wanda diventa sempre più consapevole di quello che ha fatto – senza però sapere come o soprattutto perchè – la serie è al punto più alto di cripticità.
Tramite l’utilizzo di piccoli accorgimenti, gli autori della Marvel illudono e volutamente portano su strade sbagliate il proprio pubblico. Scegliendo Evan Peters per il ruolo di Pietro Maximoff – unica scelta per la serie – lasciano intendere l’arrivo degli X-Men, la conferma del Multiverso, ma in realtà mantengono il loro asso nella manica fino alla fine del settimo episodio. Questo personaggio, infatti, rappresenta una sorpresa per la stessa Wanda e dimostra come non sia lei l’unica ad avere il controllo su questa realtà alternativa: vengono, quindi, rimesse in discussione le “regole” che il pubblico aveva ormai assimilato, portandolo quindi alla ricerca di un altro personaggio capace di apportare modifiche ai singoli episodi.
Mentre la protagonista decide di uscire dalla propria realtà – dando un nuovo significato più letterale all’espressione “rottura della quarta parete” – per minacciare gli agenti dello SWORD di lasciarla in pace, gli ultimi minuti del settimo episodio rivelano chi è a tirare le fila di tutta questa storia.
Agnes – o Agatha Harkness – è lo strumento narrativo risolutore che permette di ricollegare tutti i pezzi di questo caotico puzzle: in un montaggio meta-televisivo, con tanto di jingle, capiamo che è lei la voce dietro la telecamera a cui si rivolge nell’episodio la protagonista, ed è sempre lei l’artefice dell’arrivo di Pietro (che si rivela essere un semplice attore di nome Ralph). Il suo personaggio è brevemente analizzato poichè non ha importanza capitale capire da dove venga. È importante poichè diventa l’unico modo per Wanda, e di conseguenza anche per il pubblico, di capire cosa stia succendo fino in fondo.
Anche in questo caso il concetto di flashback viene portato al suo limite: in una carrellata di scene del passato di Wanda, lei e Agatha fungono da spettatrici degli eventi salienti della sua vita, viaggiando nella sua memoria e storia con l’intento di ricostruire ciò che è successo prima dell’inizio della serie e perfino prima dell’introduzione dei gemelli Maximoff nel film Avengers: Age of Ultron per individuare l’orgine dei poteri della strega.
La logica inattaccabile del finale
Costringendo la protagonista a ripercorrere la propria vita Agatha permette, a una sola puntata dalla fine, di ricostruire tutto il contesto della serie: Wanda decide di immergersi in questa finzione da sitcom per fuggire al proprio dolore, costringendo con i suoi poteri un’intera città a diventare il suo set televisivo.
Quando i cittadini di Westview la pregano di poter tornare alla normalità, la donna non può più fingere che l’Hex sia un modo innocuo di elaborare il lutto. È il punto di rottura definitivo che si aggiunge alla presa di coscienza di Visione, alla minaccia degli agenti di SWORD, all’arrivo dell’altra strega. Ecco che la meta-narrazione lascia il posto all’azione in stile Marvel: lo scontro tra le due, l’idea di lanciare delle rune per bloccare il potere di Agatha, tutto ciò rientra nei canoni del genere superoico. La protagonista non è più Wanda, ma è Scarlet Witch, un personaggio nuovo e un mix riuscito tra ciò che era nei film MCU e la sua controparte nei fumetti.
Il finale ha diviso il pubblico per il suo tono amaro e più in sordina: è un addio intimo tra Wanda, ormai cosciente e pronta a lasciar andare via la sua famiglia, e la versione di Visione che era stata creata per fronteggiarne la perdita. È il momento emotivamente più dilaniante e la chiusura degna di WandaVision.
Molte sono state le teorie, i commenti e le implicazioni che l’audience ha cercato di settimana in settimana di indovinare durante la messa in onda della serie: Henry Jenkins, studioso e saggista stanutinse specializzato nei media e fandom studies, individua questo tipo di attenzione con il termine “speculative” fandom. I fan cercano di anticipare i risvolti narrativi, scovano significati secondari e alimentano così le aspettative creando un rumore che molto spesso fidelizza lo spettatore e lo appassiona. Gli autori della serie, però, hanno voluto dimostrare con i numerosi vicoli cechi inseriti nella narrazione come il potere di indirizzare lo sguardo e l’attenzione sia ancora nelle mani di chi controlla la storia sia nella realtà che nella finzione.
Se da un lato, nella serie, è prima Wanda e poi Agatha a tirare le fila senza che nessuno all’inizio se ne accorga, nella realtà sono stati i piccoli dettagli – come il recast di Evan Peters o anche la semplice scena nella settima puntata di una mosca sulla finestra che tutti i fan hanno preso come indizio per l’arrivo del personaggio di Mephisto – a catalizzare l’attenzione di molti, mentre la storia sin dall’inizio aveva tutt’altro obiettivo: parlare del dolore della protagonista, affrontare il suo modo di rielaborare il lutto per arrivare, infine, allo stadio finale di accettazione.
WandaVision si è dimostrato un’esperimento molto riuscito di meta-televisione che ha permesso all’audience – e agli stessi personaggi – di fuggire in una realtà momentaneamente più felice, offrendo un sorriso e una distrazione necessari. E l’addio tra Wanda e Visione pone la promessa – e la metafora – di potersi rivedere ancora. Magari non in una seconda stagione, ma nel comfort di un altro prodotto narrativo.
We have said goodbye before, so it stands to reason-” before she jumps in and finishes, “We’ll say hello again.”