Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico. Stavolta in Behind The Series si parla di The Haunting of Hill House, la maestosa prima stagione dell’antologica The Haunting creata da Mike Flanagan, noto nel panorama del cinema horror per film come Oculus e Oujia e per la trasposizione de Il gioco di Gerald di Stephen King per Netflix.
Lo show in questione si ispira al romanzo del 1959 L’incubo di Hill House, nato dalla penna della famosa autrice americana Shirley Jackson e considerato uno dei caposaldi del racconto orrorifico e della letteratura sui fantasmi del ventesimo secolo. Esso prende come spunto di base il concetto archetipico di casa infestata, un organismo vivente e inquietante abitato da spettri e oscure presenze. Pur prendendo a modello l’idea di partenza della Jackson, tuttavia la serie se ne discosta totalmente in quanto a personaggi, a sviluppo di trama e a finale.
Nonostante la fedeltà rispetto alle atmosfere e al concept di base, la serie tv di Flanagan sposta il focus (diversamente dal romanzo i cui protagonisti erano personaggi tra loro sconosciuti) su un nucleo familiare e sui rapporti che legano tra loro i suoi componenti.
“Ho capito che avremmo avuto bisogno di una tavolozza di personaggi molto più ampia per sostenere il peso di una serie tv. Sono naturalmente attratto dai drammi familiari e penso che, in particolare negli horror, il modo in cui le persone si comportano nelle loro famiglie sia diverso dal modo in cui si comportano altrove.“
Mike Flanagan in un’intervista dell’Hollywood Reporter
Questo è ciò che distingue The Haunting of Hill House dalle altre serie tv horror di oggi: quella che seguiamo non è una storia di fantasmi, ma è la storia di una famiglia. Una famiglia persa e allo sbando che, a seguito di una terribile tragedia, ha perso quel senso di unità che l’aveva sempre contraddistinta.
La nascita del dramma e del lutto
Protagonista della serie è infatti la famiglia Crain, composta dai coniugi Hugh e Olivia e dai loro cinque figli, in ordine di età, Steven, Shirley, Theo e i gemelli Luke e Nell. Nell’infestata Hill House tutto andrà per il verso peggiore e si arriverà a un terribile evento che segnerà a vita tutti i personaggi: parliamo dell’inquietante e apparentemente folle suicidio di Olivia. Questo il nucleo della narrazione, questo il centro del trauma e l’innesto del lutto. Per parafrasare Freud, uno shock emotivo, un dolore che, se non curato adeguatamente, può produrre delle vere proprie “aree di paralisi” e di stasi in chi ne è vittima e che per essere superato deve essere accolto e attraversato coi giusti tempi.
Una morte che arriva inesorabile, ma che non viene compresa da Hugh e dai figli e che li marchierà a vita. Un lutto che pare senza fine e che dilania, sconvolge e lascia tutti i Crain sospesi: appesi a un filo di infelicità. Un senso di irrisolto che non permette loro di vivere serenamente la loro vita.
Perchè quello dei Crain è un lutto mai realmente superato, mai compreso, mai pienamente accettato.
Che io non preghi per essere al riparo dai pericoli, ma per avere il coraggio di affrontarli. Che io non preghi perché venga lenito il mio dolore, ma per riuscire a superarlo.
Rabindranath Tagore
Con queste parole del poeta Rabindranath Tagore si apre un saggio che a suo modo ha rivoluzionato gli studi circa la percezione della morte e del lutto nell’uomo: parliamo di “La morte e il morire” di Elisabeth Kübler-Ross edito per la prima volta nel 1969 e noto soprattutto per aver per la prima volta introdotto il concetto delle 5 fasi di elaborazione del lutto. Negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione.
Sicuramente nel corso della nostra vita tutti ne abbiamo sentito parlare: stadi imprescindibili che, secondo l’autrice, una persona a cui viene diagnosticata una malattia terminale deve necessariamente affrontare prima di arrivare a un qualche tipo di serenità. Un modello facilmente trasferibile anche per quanto riguarda il senso di perdita di una persona a noi cara, un dolore che attanaglia e lascia paralizzati. Uno schema che, con tutte le variazioni del caso date da sovrapposizioni, slittamenti o cambi di ordine a seconda delle persone prese in analisi, risulta tutt’ora funzionale anche a distanza di cinquant’anni.
Il modello di Kübler-Ross, già esplorato in altre serie come Grey’s Anatomy (6×01, 6×02), si cela dietro ai percorsi di crescita e di maturazione di alcuni personaggi delle nostre serie tv, tra cui anche quelli di The Haunting of Hill House: un collegamento colto da fan dello show come l’utente di Tumblr Cagedbirdsong e confermato poi dallo stesso Flanagan. Ma proviamo ad approfondire la faccenda e a capire insieme come.
Il lutto in the Haunting of Hill House
Essere coinvolti in situazioni tanto estreme quando si è ancora bambini segna a vita, lascia traumi e soprattutto un sentimento di sconvolgimento e di dolore difficile da alleviare. Lo sanno bene Hugh e soprattutto i suoi cinque figli, che a seguito della morte di Olivia si perdono totalmente, non solo per la scomparsa della donna in sé, ma anche per la modalità tramite cui essa avviene (un tremendo suicidio) e la mancata conoscenza del perché ciò si sia verificato. Una tragedia che perfino lo spettatore è in grado di comprendere solo negli episodi finali della serie, durante i quali osserviamo la progressiva discesa di Olivia nel baratro follia.
La donna, angosciata da incubi a occhi a aperti e allucinazioni in cui vede i suoi figli minori soffrire terribilmente, su spinta del sadico fantasma di Poppy Hill, crede che l’unico modo per liberare i figli da un destino di morte e desolazione sia quello di doverli uccidere, preservandoli così puri e innocenti. Questo è il motivo per cui la donna conduce Luke e Nell nell’inquietante stanza dalla porta rossa, dove ha intenzione di assassinarli avvalendosi di veleno per topi. Un trauma talmente grande da portare i bimbi a concretizzare in futuro le paure della madre. E così capita anche a tutti gli altri fratelli, incapaci di andare davvero avanti con la propria vita, anche se a livelli differenti.
5 modi di affrontare il mondo, 5 personaggi diversi. Ognuno dei quali giunto alla sua personale fase di elaborazione di quanto accaduto loro.
Fase 1: il Rifiuto
Tutto ha inizio con Steven, il maggiore tra i fratelli Crain, unico a non aver mai visto un fantasma durante la sua permanenza da piccolo a Hill House. Scettico per eccellenza, l’uomo ha fatto fortuna scrivendo storie su spettri e altri fenomeni paranormali arrivando a speculare sulla tragedia vissuta da bambino, pur continuando fermamente a dubitare del sovrannaturale e di quanto visto dai fratelli: per questo motivo viene deprecato e tenuto lontano da alcuni di loro.
Rifiuto, negazione, rigetto della realtà: meccanismi di difesa e di autoconservazione per tenere lontani da noi elementi e verità che ancora non siamo in grado di digerire e di accogliere. Un ostinato respingimento della realtà volto a risparmiare ulteriore pena, ad aggirare la disperazione che però prima o poi dovrà necessariamente finire se si vuole arrivare a guarire.
Le cose che scrivi sono reali: le persone, i sentimenti, il dolore. Sono tutti reali: ma non per te, vero?
Fase 2: la Rabbia
Passiamo quindi ora a Shirley, la secondogenita, la più testarda tra tutti i Crain, che ora gestisce un’agenzia di pompe funebri tramite il cui lavoro tenta di dare un senso alla morte e di renderla meno spaventosa. Il suo atteggiamento rancoroso nei confronti di Steven e l’ostilità verso gli altri e soprattutto verso la madre, colpevole, a sua detta, di aver rifiutato di ammettere la sua malattia mentale, rappresenta la fase della Rabbia. Sconforto, disperazione che spesso coincidono con una chiusura in se stessi: Shirley è vittima di un sentimento di oppressione e rancore che finisce per riversa sui propri cari, arrivando ad auto-sabotare perfino la propria relazione con il marito.
Uno stadio estremamente delicato nel processo di elaborazione del lutto e di guarigione: da un lato una muta richiesta d’aiuto, da un lato un ripiegamento su se stessi che esclude per forza di cose gli altri.
Fase 3: il Patteggiamento
Arriviamo dunque a Theo, la figlia di mezzo, colei che dà sempre ha avuto una specie di ruolo di equilibrio all’interno della sua famiglia: è lei ad avere un buon rapporto coi fratelli, a cercare di mediare, di trovare compromessi, sia nel lavoro che nella vita privata. La donna è diventata infatti una terapista specializzata in psicologia infantile e con il suo operato cerca di portare pace e serenità a chi, come lei, da piccolo ha subito terribili traumi. Un atteggiamento di certo positivo, ma che più che portare giovamento a se stessa, lo porta agli altri.
Theo sta tentando di venire a patti su quanto capitatole da bambina, ma non è ancora in grado di metabolizzarlo del tutto: cerca solo di riparare il riparabile, nonostante dentro si senta ancora spezzata. Preda del passato, la donna cerca di tenersi a distanza dalle persone, ergendo muri tra sé e i propri cari a causa del suo “dono”, ossia la capacità di percepire tramite il contatto fisico emozioni o avvenimenti passati. Dopo tutto come si può fare pace con quanto avvenuto se non ci si può mai liberare di ciò che è stato?
Fase 4: la Depressione
Chi potrebbe essere il rappresentate della Depressione, la fase più buia tra tutte, se non Luke? Si parla di quel momento in cui ci si rende conto del fatto che non possiamo fare nulla, che ciò che è capitato o si sta verificando non può essere cambiato. Subentra la presa di coscienza del fatto che ogni tentativo di ribellarsi è vano: la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. È così che Luke, il più colpito insieme alla gemella da quanto visto e fatto da sua madre, cade in un pozzo di depressione senza fine dandosi agli stupefacenti. Tossicodipendente recidivo, l’uomo ha ormai perso la fiducia da parte dei fratelli e non sa che fare della propria vita, o almeno così è fino alla morte della sorella.
Fase 5: l’Accettazione
Eccoci arrivati alla piccola e dolce Nell, che nonostante la serie di drammi subiti arriva a un’accettazione della propria condizione. Dalla depressione di fondo dovuta tra l’altro alla precoce morte del neosposo e le sue paralisi del sonno, Nell dopo la propria morte, trova finalmente la pace agognata. La ragazza viene infatti a patti con quanto capitatole, comprende cosa sia successo quella notte: una volta inglobata dalla Casa, la giovane smette di combattere e spinge i suoi fratelli a fare lo stesso.
All’interno della misteriosa e ambigua stanza dalla porta rossa i personaggi si scontrano con i propri dolori, con le proprie mancanze, coi loro sensi di colpa e coi loro fantasmi interiori.
Steve si confronta coi propri demoni, ossia la paura della malattia mentale e della paternità in una visione onirica in cui è sposato e aspetta un bambino. Shirley affronta i propri sensi di colpa derivanti dal tradimento inflitto al marito. Luke combatte con la propria paura di tornare ad essere un tossico nonché con il proprio fallimento per non aver potuto salvare un’amica dal tunnel della droga. Theodora invece si scontra con la sua paura dell’intimità e del contatto fisico.
Tramite queste visioni e l’intervento di Nell (e al sacrificio di Hugh), i personaggi riescono quindi a superare i propri limiti, ad accettare le tragedie vissute in gioventù e portate avanti per tutta la vita. E come si fa a guarire? Grazie al perdono, alla famiglia e anche a qualcos’altro.
Perché a dirla tutta, esiste anche una fase 6: la Speranza.
Uno stadio di per sé non consequenziale agli altri, ma circolare. Un elemento spesso latente. Quel qualcosa che fa da scheletro a tutte le precedenti fasi e che sostiene durante tutto il processo. Perché è questo ciò che siamo: siamo fatti di speranza. È la forza che ci spinge ad andare avanti, che ci porta a pensare che anche il peggio passerà. E la Speranza vive di Amore, il motore dietro a tutte le nostre azioni
“L’amore è l’abbandono della logica. L’abbandono volontario di ogni schema razionale. O ci abbandoniamo, o lo combattiamo. Non possiamo trovare una via di mezzo. Senza l’amore in condizioni di realtà assoluta non potremmo continuare a esistere per molto tempo in modo sano.”
Affrontare i propri demoni e uscirne più forti, più uniti, come una vera famiglia, ed è proprio ciò che fanno i nostri protagonisti.