Distopia: Sliding Doors è la rubrica in cui immaginiamo come sarebbe andata se i personaggi delle Serie Tv avessero compiuto scelte diverse. Iniziamo con Breaking Bad.
Quale sarebbe stato il destino di Walter White se avesse detto sì agli aiuti di Gretchen ed Elliot per il pagamento delle cure? Riavvolgiamo il tempo, torniamo al quinto episodio della prima stagione di Breaking Bad, quando Elliott offre un lavoro a Walt e relativa assistenza medica.
Elliott fissava Walter con sguardo supplichevole: nei suoi piccoli occhietti scuri c’era una sofferenza vera, non c’è dubbio, eppure ad un osservatore esterno sarebbero apparsi vacui e lontani dall’evento. Fu precisamente questo vuoto che credette di vedere Mr. White, un vuoto offensivo, tanto più perché proveniente da una persona con cui aveva condiviso alcuni dei suoi anni migliori.
Elliot attendeva silenzioso mentre Walter ripensava a quei momenti, alla brillante intelligenza che lo contraddistingueva, al rispetto che suscitava nei colleghi, all’invidia perfino, all’autorevolezza che tutti, a ragione, gli tributavano. Adesso la sua vita era fatta di tavole periodiche e studenti distratti, atomi elementari e formule chimiche banali. Quel lavoro alla Gray Matter Technologies non era nulla in confronto a quanto meritasse. Una rabbia improvvisa crebbe dentro di lui risalendo dallo stomaco fino alle corde vocali e quasi produsse un suono, un monosillabo che sapeva di negazione.
Ma il fono gli si strozzò in gola ed Elliott rimase in ascolto, in cerca di qualcosa di più chiaro e risolutivo. Quel lavoro non era nulla in confronto a quanto Walter White meritasse ma era già qualcosa. Per anni aveva evitato di prendere decisioni, aveva cortesemente rifiutato per orgoglio e per dovere. Ma ora sentiva di dover cogliere quell’occasione, di dover sfruttare il senso di colpa e il dispiacere del vecchio amico per prendersi il primo boccone di quello che gli era sempre spettato. “Devo pensarci“, disse alla fine, mentre si allontava, con sguardo convinto, lasciando Elliot come un ebete, a bocca socchiusa senza la possibilità di dire nulla.
A casa erano tutti riuniti. Skyler, Walt Jr., Marie, Hank. Erano tutti lì per lui, tutti a spingerlo a cogliere l’occasione. Ma Walter non li ascoltava, dentro di sé meditava altro, un’idea tanto appagante quando ambigua. “Papà… Papa!“, urlò Junior, ridestando il signor White dai suoi dolci pensieri. Per un istante nel volto di Walt si era dipinta un’aria convinta, un’espressione ferma e rognosa che non aveva lasciato indifferente Skyler. Ma ora, richiamato dal figlio, Walter si scioglieva di nuovo, tornando il balbettante, bonario padre di famiglia.
Sapeva che Junior aveva fatto un discorso commovente sul coraggio, sul bisogno di essere forti e sull’affrontare le difficoltà. Colse la palla al balzo. “Io… Ecco… Io“, balbettò, “Ho deciso di accettare il lavoro di Elliott“, concluse seccamente. Un silenzio di meraviglia avvolse ogni cosa. Fu Hank alla fine che, per sbloccare l’impasse, si alzò in piedi tronfio e sorridente facendo per stringere la mano al cognato. “Hai fatto la scelta giusta, Walt, vai e fagli vedere chi sei“. Quelle parole così convenzionali disgustarono Walt che tentò di mascherare la sensazione dietro un sorriso ebete. Si abbracciarono tutti mentre la mente di Walter aveva ripreso a vagare e il suo sorriso si era serrato in una smorfia.
I primi mesi alla Gray Matter procedevano stancamente. All’imbarazzo iniziale era in breve seguita la consapevolezza da parte di tutto il team delle geniali capacità del professore. La soddisfazione e l’entusiasmo in Walt, però, si erano piuttosto rapidamente trasformati in qualcos’altro. In una noia che aveva pensato di essersi lasciato per sempre alle spalle. C’era di più: nella sua mente si accavvalava di continuo un pensiero a cui aveva dato libero sfogo qualche tempo prima ma che poi, preso da una qualche lucidità nuova, aveva razionalmente accantonato.
I rari momenti di piacere, si sorprese a constatarlo, erano proprio quelli in cui trovava distrazione vagando con la mente a quell’idea. Pacato e docile come sempre, Walter si limitava a dare sbadatamente qualche spunto di ricerca qua e là: tanto bastava per svettare tra i membri di tutto il team. Quando, però, Elliot o Gretchen facevano la loro comparsa, in lui si agitava qualcosa. Una rabbia tutta nuova lo prendeva e trovava forza dentro di lui. Diventava supponente, aggressivo e scostante di fronte alla richiesta di aggiornamenti da parte dei due leader dell’azienda.
Nulla, comunque, su cui i coniugi Schwartz non sorvolassero amabilmente. Cose che naturalmente non faceva che infastidire ancora di più Walt che si ritrovava così in una condizione di continuo nervosismo e insoddisfazione. Sentiva che qualcosa gli mancava e indugiava al ricordo di Jesse e alla vicende dei mesi precedenti. Il solo pensiero gli dava sollievo e una strana sensazione di appagamento lo prendeva tutto. Quando perciò Jesse si fece vedere nel vicolo della sua casa, solo all’apparenza Walt si mostrò infastidito. Al contrario dentro di sé gioiva.
Non fu necessario un grande impegno perché Jesse fosse assunto come collaboratore personale di Walt. Bastarono le scarne referenze del professor White per far sì che il ragazzo avesse un posto ad hoc. Ancora una volta Elliott e Gretchen dimostravano un’accondiscendenza assoluta. “Signor White, che ci facciamo qui? Cos’ha in mente?“, aveva rotto gli indugi alla fine Jesse. “Calma, Jesse, calma. Ti dirò tutto al momento opportuno. Goditi questo stipendio, intanto, eh?“.
Per settimane non accadde nulla, poi un giorno Walt prese in disparte in suo incerto assistente. “Ascoltami bene, Jesse. Ricordi come realizzavamo la meth, vero?“. “Certo, signor White, che domande!“. “Sei sicuro?“, incalzò carico di ansia Walt. Nervosamente Jesse rispose ancora di sì. Il professore lo condusse così in una dimessa ala dell’immensa sede operativa della Gray Matter. “Fa’ attenzione a non toccare nulla“. Gli mostrò quello che Jesse riconobbe facilmente come un laboratorio per la produzione di meth approntato di tutto punto. “Lavorerai qui, Jesse“.
“E Lei, Mr. White?“, “No, sarai da solo“. “E la qualità del prodotto?“, provò a obiettare il ragazzo. “Non preoccupartene, segui solo tutti i passaggi“. “E un’ultima cosa“, aggiunse, “Non dare nell’occhio“. Jesse si sorprese non poco per il pressapochismo del signor White. Tanto era stato puntiglioso in passato quanto pareva disinteressato ora. Dopo essere stato ampiamente tranquillizzato sulla sicurezza dell’operazione, Jesse inziò quella che sarebbe stata una vera e propria seconda occupazione che arrivava a prendergli intere nottate.
L’atteggiamento di Walter White, intanto, era molto cambiato. Non soffriva più di quella frenesia irrequieta e, come non mancavano di notare con piacere Gretchen ed Elliott, era impeccabile nell’esposizione dei risultati dei suoi lavori. Anche troppo impeccabile. I due non tardarono perciò a nutrire sospetti. “Che sia la malattia?“, dicevano. “Forse si è semplicemente adattato“, provavano a spiegarsi a vicenda. La questione si esauriva lì. Rimaneva però Jesse. Già, Jesse. Quel ragazzo non li convinceva proprio, non aveva davvero nulla dell’assistente di laboratorio e in più di un’occasione era parso totalmente a corto delle nozioni più elementari di chimica. Chi era davvero?
Fu il custode dello stabile ad alimentare i dubbi degli Schwartz informandoli della luce che proveniva da uno studio che avrebbe dovuto essere abbandonato da tempo e da alcuni fumi che parevano uscire da una canaletta della struttura. Per i due non c’era più da attendere. Dovevano sapere. Si appostarono così di notte e attesero che Jesse apparisse in scena. Videro il ragazzo avvicinarsi all’ala del palazzo e intuirono che vi era entrato. Stranamente, però, nessuna luce e nessun fumo sembravano provenire dall’ambiente.
Elliott e Gretchen si guardarono interdetti. Passò tutta la notte prima che qualcosa, finalmente, si muovesse di nuovo. Clic! Un rumore scosse i due coniugi da un sonno che, alla fine, li aveva sorpresi nel primo mattino: Jesse si stava allontanando. Era venuto il momento: gli Schwartz avanzavano a passi decisi, fermi, scanditi da un tempo invisibile. La verità era sempre più vicina. Giunsero davanti alla porta. Un’oscura mano sembrava però trattenerli dall’aprirla. Entrambi si scambiavano sguardi non trovando il coraggio per scoprire cosa li attendeva.
Alla fine fu Elliott a prendere in mano la situazione. Gretchen, con uno sguardo inumidito da lacrime forse di timore, lo trattenne. L’uomo, però, ormai insofferente a quella verità negata si svincolò dalla stretta e aprì la porta. Clic! Un potente boato invase ogni cosa mentre le fiamme si levavano alte dalla struttura. Con un volo di diverse miglia l’orribile cardigan marroncino di Elliott atterrò nel prato del campus che costeggiava la Gray Matter, creato appositamente per le giovani promesse della chimica.
A distanza di pochi metri dalla deflagrazione un incredulo Jesse osservava le fiamme. “Cosa diavolo abbiamo fatto, signor White?“. Walter sbucò dietro di lui. “Sai cos’è il triangolo del fuoco, Jesse?“. Il ragazzo aveva gli occhi sgranati e non pronunciava parola. “Per innescare un’esplosione servono tre cose: un combustibile, un comburente e una fonte di innesco. Ho riempito per tutta la notte il laboratorio di nitrato d’ammonio, un composto chimico a basso costo: si trova facilmente presso diversi distributori di concimi e fertilizzanti. Quindi ho introdotto dell’azoturo, come esplosivo primario“. “Per questo mi ha tenuto qui fuori tutta la notte“.
“A quel punto non mancava nient’altro che una fonte d’innesco“, continuava Walt. “La porta!“, proruppe sorpreso Jesse. “Non esattamente, Jesse. È quello che c’era dietro quella porta: abbassando la maniglia si è azionato un congegno molto semplice, simile alla pietra focaia di un accendino. Di qui si è prodotta la scintilla“, proseguiva con tono pacato e pedagogico Walter White. “Dalla semplice scintilla ecco la reazione chimica e quindi l’esplosione. Combustibile, comburente e fonte d’innesco, Jesse“.
Pinkman era senza parole. Provava a riordinare nella sua testa tutte le idee e gli avvenimenti che in un secondo sembravano aver accelerato all’improvviso. “E ora? Scopriranno il laboratorio!“. “No, Jesse“, riprese calmo e comprensivo Walt. “Scopriranno quello che vorranno vederci: due importanti dirigenti dell’industria chimica che per un incidente sono rimasti vittime della loro produzione illegale di metanfetamina“. “La loro reputazione sarà distrutta“, aggiunse con un ghigno di soddisfazione. “Perché lo abbiamo fatto? Le avevano offerto un lavoro, sembravano brave persone, perché, Mr. White?“. Pinkman era sconvolto. “Non sempre tutto è come sembra, Jesse. Quello che mi hanno fatto supera qualunque offesa“.
Jesse sembrava non capire ma sentiva di dover soprassedere, voleva farlo. Voleva farsi bastare quella criptica spiegazione ma qualcos’altro ancora lo tormentava e non potè fare a meno di riprendere a interrogare il professore. “Signor White“. “Sì, Jesse?“, rispose insofferente Walt. “Come sapeva che avrebbero aperto la porta? Come sapeva che avrebbero innescato l’esplosione?“.
“La verità? Non potevo saperlo. Confidavo nel principio di indeterminazione“. Jesse fece una faccia confusa. “Ti spiego: in parole povere, e semplificando molto, afferma che non possiamo osservare un fenomeno come semplici spettatori. Nell’atto stesso dell’osservazione influenziamo il fenomeno producendo così un’indeterminazione non eliminabile. Gretchen ed Elliott hanno influenzato l’esito della loro osservazione producendo la detonazione. Pensa: fu enunciato da Heisenberg quando aveva appena ventisei anni, pressappoco la tua età, Jesse“. “Heisenberg, uh?“. “Già, Heisenberg“. “Un nome piuttosto fico, signor White, non c’è che dire“. “Già, niente male, Jesse. Niente male“.
I due si allontavano per mescolarsi alla folla, così da evitare inutili sospetti. Nel mentre, però, qualcosa ancora non tornava a Jesse. Come poteva il signor White sapere che un altro, magari un custode, non avrebbe aperto quella porta? Come avrebbe potuto evitarlo? Si crucciò in volto mentre ripeteva, incerto: “Principio di indeterminazione di Heisenberg…“.