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Sons of Anarchy Distopia – Il mondo dei SAMCRO, 7 anni dopo

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7 anni ci separano da quel temibile schianto, 7 lunghi anni sono intercorsi dal maledetto giorno in cui un uomo decise di chiudere un cerchio aperto anni prima, non da lui. Un cerchio nato insieme ai Sons of Anarchy, un cerchio che non si chiuderà con loro.

Di pneumatici sulle strade ne sono bruciati da quel giorno. Dove c’era il sangue ora c’è solo il grigio scuro dell’asfalto, dove c’era sabbia e sassi ora vi è una lapide. Una lapide con inciso sopra un nome, una lapide semplice, non sfarzosa, imponente nella sua piccolezza, la lapide di Jackson “Jax” Teller, padre tormentato, figlio nostalgico, martire immortale, compianto presidente.

Ad accompagnare il pianto, la confessione, il monologo dei fratelli dall’anima dilaniata che di tanto in tanto si siedono lì davanti, spesso per ore, vi è un corvo, un pennuto nero ed elegante che misteriosamente vola in cerchio, poggiandosi di tanto in tanto su quella lapide, in religioso silenzio. E tra quei fratelli ve ne è uno che con una precisione matematica, quasi rituale, vi si reca, senza quasi mai parlare, lasciando che i suoi occhi lo facciano al posto della sua lingua. Quel fratello è l’erede del giovane ed effimero re immolato: Chibs.

Mayans MC

Poco o niente è cambiato da quel giorno in lui. I capelli sono più bianchi che neri ora, il suo sguardo è malinconico e stanco, ma lui, il presidente dei Sons of Anarchy, è sempre lo stesso. Qualcosa però sta per cambiare, una promessa sta per essere infranta. Ecco perché questa volta non saranno solo gli occhi a parlare.

Fratello mio, sto per rompere una promessa che feci tempo fa a te, poco prima che tu facessi ciò che andava fatto. Una promessa che mai avrei voluto rompere, però lo sappiamo come va la vita. Promettiamo cose, giuriamo di farlo, ma per far sì che ci sia qualcosa da mantenere dobbiamo rompere certe promesse. Sono sicuro che capirai, lo faccio per il suo bene…

A svariate miglia di distanza, quello che era solo un bambino 7 anni prima ha costretto un uomo d’onore a rompere un veto che fino a quel momento era considerato inscalfibile. Abel Teller ora è un adolescente che sente il peso di tutto quello che non ha, uno a cui non manca niente, per cui è stata data in sacrificio una vita affinché lui potesse vivere la sua, eppure tutto ciò sembra non bastare. È appena scappato dalla sua prigione d’oro, ha finto per giorni che i suoi comportamenti irruenti e ribelli si fossero sopiti, lasciando spazio a un atteggiamento calmo che potesse indurre sua madre, Wendy, ad abbassare lievemente la guardia, permettendogli di scappare.

Direzione Charming, sulle tracce dei Sons of Anarchy.

Il ragazzo custodisce due anelli, ultimo rimasuglio di quel padre che tutti hanno provato a fargli dimenticare, quel padre diventato argomento tabù, di cui tutti sembrano far finta non sia mai esistito, ma lui non l’ha scordato, e ora sta andando a cercarlo. Ma come si cerca una persona che ora non è? Come puoi inseguire un fantasma?

Abel vuole recarsi lì dove è nato, dove ha vissuto quei pochi anni assieme a suo padre, pochi anni che però pesano come macigni, molto più di quelli venuti dopo. Una piccola macchia temporale che sembra essere molto più pesante di tutto il resto. Lui non può scordare, lui non vuole farlo, quegli anelli ancora troppo larghi per essere indossati, attaccati ora a un ciondolo, conservato come fosse un ultimo frammento di anima per tutto quel tempo, bruciano come lava e gracchiano nella notte come un corvo nero. Non importa quanto bisogni camminare, non importa quanti autostop dovrà fare, quanti pericoli dovrà scampare o quanti autobus dovrà prendere.

Quel marmocchio biondo, fotocopia di suo padre, arriverà a Charming. Quel piccolo principe diseredato parlerà con Jax Teller.

Lui però non sa che qualcuno lo sta aspettando, qualcuno che vorrà impedirlo, qualcuno che lo riporterà da dove è scappato. Qualcuno che lo attende, impazientemente…

Quando l’autobus si ferma ed Abel finalmente scende a Charming, il sole si sta preparando a sparire all’orizzonte. Quei pochi spicci che ha sgraffignato a destra e a manca per pagarsi la traversata sono finiti, la fame è tanta, il viaggio è stato estenuante, non sa come tornerà a casa o se vorrà tornarci, ma non importa, ora è lì e sa che Chibs è sulle sue tracce, e lo braccherà se non sarà abbastanza furbo da sfuggirgli.

Evidentemente non lo è stato, perché attraversa la strada, si ferma, ragiona un secondo, passano due minuti prima che lo sconforto di non saper dove andare lo assalga totalmente, poi sente quella voce che non voleva sentire.

E adesso dove vai?

I brividi attraversano il suo corpo, il terrore del fallimento lo assale, non può far altro che girarsi verso quella voce. La voce di Chibs Telford. Una voce che anni prima sarebbe stata fonte di calore, un angolo sicuro in un mondo terribile, ma che ora trasmette gelido terrore. E di fronte a quella tetra sensazione di inadeguatezza e debolezza, appena subentrata al folle coraggio che lo ha spinto fin lì, non può far altro che dar retta a quella lacrima che ora solca il suo viso.

Non lo so…

Chibs è a 3 passi ora, severo, nero in volto. Eppure lo ricordava sempre raggiante, sempre felice di abbracciare il figlio del suo migliore amico. Ora sembra la morte fatta persona, severa, intransigente, e per niente felice di trovarsi lì davanti. Lo guarda dall’altro verso il basso, poi si abbassa, fintanto che la sua faccia non sia quasi all’altezza della sua. Sospira e poi finalmente parla.

E se non sai dove andare cosa sei venuto a fare?

Abel non sa cosa rispondere, aveva immaginato quel momento per tutto il viaggio. Sapeva che lui lo avrebbe trovato e glielo avrebbe impedito. Però aveva elaborato un piano, sarebbe corso via, si sarebbe nascosto e sarebbe sfuggito a Chibs, poi avrebbe raggiunto quel luogo maledetto. Ma adesso quel coraggio e quella determinazione che lo hanno portato fin lì non esistono più, sono svanite le tracce della sua forza, svanite come un eco nel nulla. A quel punto le lacrime sono impossibili da trattenere e zampillano dai suoi occhi come lava da un vulcano.

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Chibs protende una mano, gli asciuga le lacrime, ora sorride di nuovo, si alza, se ne va. Abel ha lo sguardo a terra, guarda l’asfalto, è sconfortato, poi sente un rombo, un dolce rumore che apparteneva al suo passato, uno sbattere di pistoni accompagnato da un temibile odore di fumo. Il rumore e l’odore più belli del mondo.

Andiamo ragazzino, Nero e Wendy saranno qui a momenti. Non vorrei che mi vedessero a darti una mano.

Abel ora è sgomento, la sua disperazione lascia spazio a uno strano senso di sorpresa. L’amaro sapore di fallimento che pian piano si stava generando sul suo arido palato sparisce d’improvviso. Non ci pensa due volte, con due falcate è già vicino alla moto di Chibs, esita un attimo e poi salta su. Trovandosi davanti, e costretto ad abbracciare, quel tetro ma stupendo simbolo. Quella cupa mietitrice accompagnata da una scritta a caratteri cubitali.

SONS OF ANARCHY

Un simbolo ambivalente quello dei Sons of Anarchy, minaccioso, ma che sa di casa, di infanzia, di amore paterno.

La strada scorre liscia sotto le ruote della motocicletta, i suoni spariscono dinnanzi al rombo imponente del motore, la paura si liquefa nell’abbraccio alla schiena di Chibs. Passano minuti che sembrano ore, il vento bacia ogni singolo angolo dell’esile corpo di Abel, il paesaggio sembra quasi spostarsi. L’ansia sembra sparire, il mondo è più piccolo e meno minaccioso. Il calore della marmitta sale sulla gamba, quasi se volesse tranquillizzare il piccolo.

Saranno passate qualche dozzina minuti dalla partenza all’arrivo, ma Abel ha contato i secondi, ha assaporato ogni momento, per lui sembra passato così tanto tempo che ora si sente un adulto. Ora si sente più uomo.

Chibs frena dolcemente, accosta, fa scendere Abel, si accende una sigaretta e indica un punto dall’altra parte della strada. Il ragazzo d’improvviso rimane immobile, la sua meta è lì davanti. Ma non riesce a muoversi, riesce solo a stringere gli anelli.

Vai piccolo, io ti aspetterò qui. Ti lascio da solo con tuo padre, immagino che avrete molto da dirvi. Solo: fa in fretta, non abbiamo molto tempo.

Abel è uno stoccafisso, paralizzato, trema e guarda quella lapide, quella sottospecie di roccia con un nome e una data scritti in maniera sconnessa. Sussurra a bassa voce che ha paura, con un filo di voce talmente esiguo che giurerebbe di averlo soltanto pensato. Chibs però lo ha sentito forte e chiaro. Butta la sigaretta e guarda il ragazzino con occhi lucidi.

È normale avere paura, sei un uomo Abel e gli uomini hanno paura. Spesso senza motivo, ma è quella paura che ci permette di andare avanti per non perdere noi stessi, a volte. Se hai paura della morte farai di tutto per evitarla, se hai paura di perdere qualcuno farai di tutto per non perderlo, se hai paura del buio cercherai una luce. Tuo padre aveva paura di perderti, ecco perché siamo qui ora. Vai, sono sicuro che ti sta aspettando…

Quelle parole di Chibs svegliano in Abel una rabbia repressa che sfocia in un urlo furioso.

E SE AVEVA PAURA DI PERDERMI COME MAI SI È AMMAZZATO?

Chibs ora ha uno sguardo furente, sta zitto, come se si stesse trattenendo dall’urlare come un pazzo forsennato. Passano pochi lunghissimi secondi prima che decida di parlare, con un tono sorprendentemente pacato. In completa antitesi coi suoi occhi in escandescenza.

La paura di perdere qualcuno e la paura della morte non possono coesistere, puoi sceglierne solo una. Tuo padre ha scelto di salvare te, di salvare tuo fratello, di salvare me, ma non poteva salvare se stesso, non poteva permettersi di avere paura anche di morire. Quello è un lusso che uomini come noi non hanno.

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Arrabbiato Abel attraversa la strada, con passo furioso copre quella distanza in pochi istanti, si ferma a pochi centimetri dalla lapide, con gli anelli in pugno, con lo sguardo di uno pronto a distruggere quella lapide a calci. Finalmente è lì, può urlare tutta la sua rabbia e tutto il suo odio a quel padre che lo ha abbandonato. Prende fiato, stringe i pugni, apre la bocca per urlare, pronto a liberarsi di quel fardello.

Poi accade qualcosa di strano, un vento gelido lo abbraccia per un secondo. Abel tace, la rabbia scivola via all’istante, il cuore torna a battere a ritmi normali. Gli vengono in mente i bei momenti passati col suo vecchio, tornano a galla i pomeriggi con Thomas, gli insegnamenti di Nero, le vacanze al mare con Wendy, gli amici della scuola. Sette anni gli scorrono davanti. Ad un tratto tutto ha senso, l’odio sparisce, il tremore si placa, e quegli occhietti corrucciati di rabbia si rilassano e si riempiono nuovamente di lacrime.

Abel non riesce a parlare, è immobile, di nuovo. Guarda Chibs dall’altra parte della strada poi si volta di nuovo verso la lapide, scorre le sue dita su quel nome e all’improvviso Jax è davanti a lui. Le loro mani si sfiorano, Jax sorride, Abel lo guarda e piange, poi chiude gli occhi e quando li riapre suo padre non c’è più, c’è solo la fredda roccia, di nuovo.

A quel punto apre la bocca e finalmente riesce a parlare.

Ora so chi eri e che cosa hai fatto. Ti voglio bene papà

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