Distopia: Sliding Doors è la rubrica in cui immaginiamo come sarebbe andata se i personaggi delle Serie Tv avessero compiuto scelte diverse. Questa puntata è dedicata a The O.C.
Cosa sarebbe successo se Marissa Cooper fosse sopravvissuta? Riavvolgiamo il tempo, torniamo all’ultimo episodio della terza stagione di The O.C., al momento dell’incidente.
Ryan rinvenne pochi secondi dopo. Guardò al suo fianco, con un filo di voce disse il suo nome: “Marissa”. Non ottenne risposta. La tirò fuori più in fretta che poteva: c’era un principio d’incendio e il serbatoio perdeva minacciosamente. La prese in braccio, era piena di sangue. Sul viso, sul corpo, sui vestiti. Camminò finché non era sicuro di essere fuori pericolo, finché le poche energie in corpo non iniziarono ad abbandonarlo. L’impatto era stato così potente che l’aveva destabilizzato, facendogli perdere tutte le forze. L’appoggiò per terra delicatamente, sorreggendole la testa. “Marissa, Marissa, Marissa”. Aveva perso il conto di quante volte l’aveva chiamata. Però funzionò, lei aprì gli occhi. Era debolissima, respirava a fatica, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Quel sangue sul suo volto… doveva fare qualcosa, doveva cercare aiuto. Ma dove? Non c’era niente intorno a loro, solo una lunga strada deserta. La desolazione totale. Poteva correre, ma per quanto? Quanto ci sarebbe voluto prima di incontrare una casa, una macchina, qualcuno?
“No, no. Resta qui” lo supplicò lei. Non voleva morire da sola. Era grave, lo sentiva. Sentiva la vita che piano piano scivolava via da lei. Sentiva Ryan continuare a dire che ce l’avrebbe fatta. E lo voleva. Voleva vivere. Era giovane, aveva tante altre avventure davanti a lei. Ma non sarebbe successo. Doveva dirglielo, un’ultima volta.
“Marissa, Marissa, coraggio”. Se ne stava andando, non sapeva quanto la ragazza potesse resistere ancora. Quelle lacrime che aveva trattenuto iniziarono a uscire. Non poteva guardarla morire. Si aggrappò a quel briciolo di energia che aveva ancora in corpo e tentò di alzarsi, ma la testa iniziò a girare. Ci riprovò ancora, anche se Marissa l’aveva pregato di rimanere. I suoi desideri erano ordini per lui, ma non oggi. Non poteva lasciarla morire. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Finché non avvenne.
Una macchina lo accecò e la speranza tornò a inondare il suo cuore. “Aiuto! Siamo qui!” urlò con tutta la forza che aveva. Qualcuno si avvicinò. Riconobbe la voce e, in quel momento, era il suono più bello del mondo. Taylor si avvicinò con uno sguardo pieno di terrore. Non era sola, c’era… Luke con lei? Che ci facevano insieme? Non era questo il momento per indagare. “Taylor, Taylor, mi devi aiutare. Ci hanno buttato fuori strada e Marissa… Marissa deve andare in ospedale. SUBITO”. Come suo solito, Taylor prese in mano la situazione e caricarono Marissa in auto. Luke correva, tantissimo, ma per Ryan non era abbastanza. La sua paura non faceva che crescere ogni secondo che passava. Voleva arrivare in tempo, Marissa stava morendo. Ryan vedeva un futuro con lei e per niente al mondo era disposto a rinunciarci.
Era in totale confusione quando arrivò dall’ospedale, tanto da non riuscire a spiegare che cosa era successo. I medici portarono subito Marissa in sala operatoria. Ryan le stringeva la mano, correva non sapendo nemmeno lui come stava facendo. Gli girava la testa, davvero tanto. Il chirurgo lo fermò, non poteva entrare: “No, devo venire, non posso… non posso lasciarla sola. Gliel’ho promesso” disse Ryan. Lo sapeva di non aver scelta. Dopo qualche secondo di esitazione si convinse.
“Vi prego, salvatela”. Fu tutto quello che disse prima che le porte si chiudessero e tutto diventasse buio.
Ci volle un po’ prima che rinvenisse. Aprì gli occhi lentamente, la luce lo infastidiva. Ma poi si rese conto che non era così forte. Quanto aveva dormito? Minuti, ore, giorni? La testa gli faceva davvero male. Se la toccò e sentì una bella benda. Non si era reso conto di essersi ferito pure lui, non fino a quel momento. E fu allora che un pensiero balenò nella sua mente. “MARISSA” urlò, spaventando i presenti nella stanza. Cercò di alzarsi, anche se ogni sua molecola sembrava pesare un macigno. Stava per staccarsi la flebo e qualsiasi altro tubo attaccato al corpo. Era difficile perché non aveva forze. Ma doveva sapere. Marissa era la persona più importante della sua vita. Doveva sapere se era viva o… non riusciva nemmeno a pensarci.
Sandy intervenne per evitare che si ferisse ulteriormente. Lo tratteneva con forza. “Ryan, calmo, sta calmo. L’intervento di Marissa è andato bene. Ora è in rianimazione, stiamo aspettando che si svegli”. Ryan era felice, eppure aveva paura. E se non si svegliasse più? E se fosse troppo tardi? E se lei dovesse vivere per sempre attaccata alle macchine?
“Io non so vivere senza di lei” disse Ryan disperato. Sandy capiva la sua paura perché l’aveva sperimentata con l’alcolismo di Kirsten. E sapeva esattamente cosa dire: “Marissa è una Cooper e, come hai imparato a tue spese, sono forti quelle lì”.
Ryan poteva giurarci. Voleva comunque vederla ma non potette. Non finché non venne considerato l’ultima speranza per risvegliarla. Erano passati giorni e Marissa era ancora in rianimazione. Ryan entrò nella sua stanza: Marissa era immobile e al suo corpo erano collegati tanti tubi. Vederla così lo fece crollare. Nemmeno un duro come Ryan Atwood riuscì a trattenere le lacrime. Le mani si chiusero a pugno, avrebbe voluto spaccare il vetro. Ma si fece forza e si sedette accanto a lei. Accarezzò dolcemente il suo viso, scostandole delicatamente i capelli. Guadò i suoi occhi e, anche se erano chiusi, poteva vederli. Erano belli, felici, proprio come la prima volta che l’aveva visti. Da allora non gli aveva mai dimenticati. Da allora erano diventati i suoi occhi.
Vide lo stereo sul suo comodino. Ora capì perché Summer gli aveva portato il CD che Marissa gli aveva masterizzato. “Questo CD avrebbe dovuto educare i miei gusti musicali. A dirla tutta, non so se c’è davvero riuscito. Magari riuscirà a svegliare te”. Ryan schiacciò play. Forever Young partì, inondando ogni angolo di quella camera.
La sentirono anche gli altri. Erano tutti lì: c’era chi stava a sedere mano nella mano come Kirsten e Sandy, chi camminava nervosamente come Luke e Julie, chi si rendeva utile come Taylor e chi non riusciva a stare in sala d’aspetto come Summer. Era terribilmente spaventata, non sapeva come avrebbe fatto senza Marissa. Seth cercava di consolarla, ma come poteva? “Ryan deve svegliarla, non… non posso vivere senza la mia amichetta del cuore” disse Summer mentre le lacrime le rigavano il viso. Seth l’abbraccio, provando a infonderle coraggio, ribadendo che Marissa è forte e che era sopravvissuta a tanto. “Dai, questa sarà una passeggiata per lei! Insomma, in confronto a Oliver, Tijuana, Julie Cooper”. Summer rise, Seth sapeva sempre strapparle un sorriso.
Tornarono dagli altri e Seth propose un gioco per smorzare la tensione: ricordare la prima volta che hanno incontrato Marissa. Iniziò Summer. Più che il loro primo incontro, la ragazza ricordò la prima volta che era andata a casa sua: avevano rubato tutti i trucchi di Julie e si erano divertite a sperimentare. Su ogni cosa, non solo su di loro. Sorrisero tutti. Julie lo ricordava bene perché le due bambine avevano rovinato parecchi suoi vestiti. Avrebbe pagato perché lo facessero di nuovo adesso. Luke, invece, parlò di quando chiese a Marissa di mettersi con lui in quinta elementare. “Ok, le regole del gioco non erano proprio queste, però!” disse Seth un po’ infastidito. Fece ridere tutti nuovamente. Serviva proprio un momento di svago.
Mentre loro continuavano a parlare, Ryan stringeva la mano di Marissa ripensando al loro ballo, cullato dalle note della loro canzone. Marissa riusciva sempre a sorprenderlo. E lo fece, ancora una volta. Strinse la mano del ragazzo, mentre piano piano i suoi occhi si aprivano. “Ciao straniera” disse Ryan con il cuore che gli scoppiava di felicità. E stavolta le lacrime erano di gioia. “Chi sei?” disse Marissa. Ryan rise, sapeva esattamente che cosa rispondere. “Chiunque vuoi che io sia”. Lei sorrise: era il sorriso più bello del mondo. Non parlarono molto, gli infermieri accorsero subito. “Ryan” lo chiamò prima che potesse varcare la soglia. “Ti amo”. Glielo aveva detto, finlamente.
Trascorsero parecchie settimane prima che i due uscissero dall’ospedale, prima che la loro vita potesse tornare normale. Avevano un discorso in sospeso, ma nessuno dei due voleva affrontarlo. Non ora che si erano rimessi insieme. Marissa lo vedeva, Ryan non era più lui. Come poteva dirgli che voleva ancora partire e raggiungere suo padre? L’avrebbe capito dopo tutto quello che era successo? “Coop, sei quasi morta tra le sue braccia! è normale che sia ancora scosso” le ripeteva Summer. No, il vero motivo era un altro, lei lo sapeva, ma quel nome non riusciva a pronunciarlo.
Già, Volchok. Il suo pensiero fisso. Ryan non dormiva perché lui era ancora a piede libero. Si girava e rigirava nel letto della sua casetta in piscina senza trovare pace. E oggi aveva pure il test per l’università. Non si era minimamente preparato. Cioè, l’aveva fatto prima dell’incidente ma, da allora, non aveva più aperto un libro. Mancavano ancora delle ore. Aveva bisogno di schiarirsi le idee, senza un Seth che non faceva altro che ronzargli intorno. Andò al molo, il posto suo e di Marissa. L’unico dove riusciva davvero a pensare, guardando le onde del mare, sentendo il loro suono. Erano rilassanti.
Luke si sedette accanto a lui. Non l’aveva ancora ringraziato davvero per averli salvati. Non sapeva come fare. Erano in silenzio e fu Ryan a rompere il ghiaccio: “Ma toglimi una curiosità: che ci facevi con Taylor quella sera?”. Luke rise. Ma Ryan non sentì la risposta. Perché quando si girò, lo vide.
Volchock lo stava fissando e sorrideva. Lo sguardo di Ryan si fece serio, lucido ma di nuovo vivo. Si alzò, sapeva quello che doveva fare. Luke se ne rese conto troppo tardi. Come una furia, iniziò a picchiarlo violentemente, con tutta la forza che aveva. Come se da quel pestaggio dipendesse la sua vita. Il sangue sgorgava da ogni parte. Luke avrebbe voluto fare la stessa cosa. Anche Marissa. Era arrivata in quel momento e, per quanto una parte di lei capiva Ryan, doveva fermarlo. Non poteva permettergli di rovinarsi la vita per quel pazzo.
“Ryan, Ryan, fermati. Ryan, è finita, la polizia sta arrivando e quel pezzo di merda finirà in galera”. La voce di Marissa lo calmò. A nulla servirono le provocazioni di Volchok. Adesso era il turno di Marissa: doveva salvare Ryan e ce la stava facendo. Lui la vide e pensò a quello che poteva essere: l’incidente poteva costarle la vita. Invece era lì, insieme a lui. La rabbia svanì in un colpo solo. Ora era Ryan che sorrideva. “Spero che tu marcisca in prigione per il resto della tua vita. Non c’è punizione migliore per te, bastardo”.
La polizia avrebbe portato via anche Ryan se non fosse intervenuto Sandy. Quell’incontro con Volchock lo liberò dei suoi mostri. Abbracciò e baciò Marissa, la sua Marissa. Adesso era pronto per fare il test. Anche se non era preparato, sapeva che il futuro sarebbe stato roseo perché al suo fianco non c’era il vuoto, ma l’amore della sua vita. Certo, si rese conto che doveva cambiarsi: la sua maglia era totalmente sporca di sangue. Marissa tirò fuori una felpa e gliela porse. Era felice lì, forse partire non era la scelta giusta. Vedendo Ryan entrare nella scuola sorridendo, capì. Seguì quell’impulso che stava nascendo dentro di lei. Andò alla segreteria e fece la domanda che avrebbe potuto cambiare tutto: “Come faccio per sostenere il test?”