Cosa succede dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite? ‘Forse non è la fine’ è la prima puntata (immaginaria) dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite. Oggi è il turno di Penny Dreadful.
Una notte d’inverno del 1895 una donna se ne stava seduta da sola, nel cuore della notte, sotto il portico di una locanda a Kingston upon Hull. Con la mano destra roteava svogliatamente un bicchiere di whisky, studiando i tanti volti anonimi dei passanti che si stringevano nelle spalle per il freddo, e che con ampie falcate cercavano luoghi chiusi e più confortevoli. La donna ghignò e si bagnò le labbra con un sorso per esorcizzare i suoi sogni da bambina, consapevole di aver perso alla nascita il privilegio di un focolare e di una famiglia amorevole – non era quello che dio aveva desiderato per lei, pensò.
Alle sue spalle, sulla destra, la porta della locanda si aprì vomitando un gruppo di signori ubriachi e barcollanti, che si aggrappavano gli uni agli altri ridendo sguaiatamente e prendendosi a parolacce per motivi sconosciuti. Lanciarono occhiate curiose in direzione della donna, che in quel momento guardava il cielo terso contemplando le stelle luminose, come se nascondessero la risposta giusta per calmare i suoi tormenti. Uno degli uomini si staccò dal branco ubriaco, e ondeggiando le si avvicinò e pronunciò parole confuse, ma non riuscendo a reggersi in piedi si lasciò cadere con tutto il peso sulla panchina. Biascicò qualcosa sui capelli biondi e le labbra carnose di lei, che senza ritegno sfiorò con il dito indice dimenticandosi le maniere che la società amava definire “da gentleman”.
Il polso della donna aveva cessato il suo roteare e la debole luce proveniente dalla lampada a gas, fissata a una delle colonne, illuminò il bicchiere di whisky proiettandone l’ombra deforme sul muro; tutto il corpo di lei era immobile e disgustato dalla libertà di quel tocco lascivo. I compagni ubriachi fischiavano, gridavano e mimavano espressioni oscene incitando l’amico a continuare il suo pietoso e oltraggioso spettacolo. Lui allungò una mano sul vestito di raso, lei restò immobile, lui avvicinò la faccia grassoccia al suo collo e lei restò immobile, lui le girò con forza il voltò prendendole il mento ma lei lo guardò con occhi vispi e un sorriso beffardo e tenendo il bicchiere ancora immobile gli puntò una lama alla gola minacciandolo di morte.
I fischi si tramutarono in silenzio e le espressioni arrossate dall’alcool si fecero serie e sorprese. L’uomo, che ora tremava, fu costretto ad alzarsi spinto dalla pressione della lama contro il collo. La donna invece sorrise sbarazzina, bevve un altro sorso di whisky e si alzò lasciando che la lama affondasse sempre di più nella carne. Poi una mano gelida si posò delicatamente sul polso di lei che, distratta, staccò leggermente l’arma dal collo dell’ubriaco, che ne approfitto per fuggire inciampando e tremando con i suoi simili.
«Hai lasciato che la mia preda fuggisse, Creatura… Non avresti dovuto intrometterti!»
«Io e te siamo nati mostri, ma possiamo scegliere di non esserlo, Lily.»
Lily Frankenstein non rispose, si limitò a sbuffare scolandosi l’ultima goccia di alcool, poi rimise il bisturi in una tasca nascosta tra le pieghe della gonna.
Si appoggiò alla balaustra sistemandosi gli anelli sulle dita guantate, non voleva perderli dopo averli rubati con così tanta fatica: parte di quei gioielli le avrebbe pagato il treno per Londra. John Clare mantenne un’espressione tesa e le sue labbra scure si fecero più sottili, non sapeva cosa dire o cosa fare ma qualcosa lo trattenne lì. Prestando attenzione a mantenere almeno un metro di distanza da Lily, si sporse anche lui per osservare la pallida luce della luna baciare il paesaggio innevato che si estendeva privo di confini. Altre sagome si riversarono fuori dalla locanda, alcune maledicendo la fredda neve che sotto i loro piedi divenne marrone e fangosa, ma questa volta non si avvicinarono né a Lily né a John Clare.
«E dimmi, Creatura, come riesci a non crederti un mostro quando la gente ti accusa di esserlo solo guardandoti?» Lily non indicò, ma la direzione del suo sguardo fece notare a John Clare le espressioni inorridite dei passanti. Il primo figlio di Frankenstein combatté l’impulso di coprirsi il volto e cercò di mantenere l’attenzione sulla luna, protagonista luminosa in un cielo ormai nero pece.
«Puoi raccontarti qualsiasi storia, mio caro amico, ma la verità è che John Clare è solo un nome con cui hai tentato miseramente di introdurti in una società che non ti si addice.» Lily aveva eliminato il metro di distanza con due rapidi passi, lasciando solo pochi centimetri tra loro, e alzando leggermente lo sguardo aveva seguito con le dita i contorni della cicatrice, come ipnotizzata da quel lavoro grezzo. «Questa è un marchio che ti estromette dalla società! Il tuo cuore che non batte e le mani così gelide ti hanno escluso dalla vita, che potrai solo contemplare da una finestra nascosta. Hai abbandonato il tuo vero nome da tempo, ma non potrai mai essere Coleridge o Wordsworth o il tuo amato Shakespeare. Puoi vivere delle loro parole, fingendoti l’uno o l’altro o creando un nome che a loro si ispiri, ma sarà solo una maschera e tu, come me, mio caro, non avrai mai una identità che questa società riesca ad accettare. Ne resterai ai margini con la maledetta consapevolezza di quanto tutto questo faccia schifo.».
John non disse nulla, restò senza parole con lo sguardo fisso negli occhi scuri e opachi di Lily. Lui era consapevole che le gioie di un tempo non sarebbero mai tornate, che non era più un marito, né un padre, né un figlio ma solo una creatura. Sapeva che la miseria sognata era ormai diventata tangibile, ma cercava di reprimere quella consapevolezza rifugiandosi in sogni romantici e avventure salvavita. Lily non aspettò una risposta, si lisciò la gonna e con passo deciso si avviò nella locanda chiudendosi la porta alle spalle.
Dopo qualche istante, John sbatté le palpebre e con sguardo assente poggiò una mano sulla colonna sussurrando parole sommesse:
[…]Se ne è andata nel letto della tomba,
lasciandomi solo a vegliare nella notte,
con il cuore pesante che era così leggero…
Metti, sotto il tuo capo, metti una pietra.
Herman Melville – Lamento di Coleridge
La mattina dopo, Lily si svegliò e a colazione lesse uno di quei Penny Dreadful venduti ogni settimana da giovinetti un po’ malandati.
Non sapeva che fine avesse fatto John Clare finché non lo vide aggirarsi ombroso negli angoli più scuri del locale, ma lo ignorò e finì la sua colazione prima di risalire in camera e preparare le ultime valigie. La carrozza per la stazione l’attendeva fuori dalla locanda alle dodici in punto, il sole era alto nel cielo ma l’aria era fresca e frizzante. Lily pagò al cocchiere il viaggio e prese posto nella cabina, al fianco di due signore sconosciute.
Benché ci fossero bancarelle disposte su entrambi i lati della strada e i passanti fossero sempre più numerosi, la carrozza non dovette rallentare spesso e così in meno di un’ora arrivarono alla stazione. Si trovava nella biforcazione di una vecchia strada, che superata la biglietteria attraversava un piccolo boschetto nel quale si inoltravano anche i binari. Lily ne fu attratta, ma respinse la curiosità di esplorare quel posto per non perdere il treno per Londra, di cui era stato da poco annunciato l’arrivo. Dopo aver preso i bagagli si diresse sulla piattaforma e fu da lì che notò, a due marciapiedi di distanza, una ragazza. La giovane aveva una lunga chioma rossa, era alta – più alta dell’uomo con la bombetta che sembrava la stesse trascinando nel vicolo – e di certo spiccava tra la folla.
Lily represse la rabbia ma si rivide nella giovane e questo fu abbastanza per farle dimenticare del viaggio imminente, così la raggiunse. Nonostante la stazione fosse sempre più gremita di gente, Lily riuscì a mantenere lo sguardo su i due soggetti, ormai poco distanti. Pensò che avrebbe fatto rimpiangere all’uomo di essersi svegliato quella mattina, gli avrebbe fatto pagare anche solo le intenzioni e i pensieri maturati mentre trascinava via la ragazza.
Poco prima di girare l’angolo accadde qualcosa di strano: sentì lo sconosciuto gridare e giurò di aver visto un’ombra strana distendersi sul mattone grigio del palazzo, ma si disse di non dar peso alle allucinazioni e che forse si era trattato di un animale. Quando girò finalmente l’angolo l’uomo era a terra, con la gola tagliata al punto tale che la testa si sarebbe staccata anche con un lieve calcio, la ragazza invece era in ginocchio, catatonica e ricoperta di sangue.
Lily la soccorse con un pizzico di orgoglio pensando che fosse stata proprio la sconosciuta a ucciderlo, poi gettò un rapido sguardo di disprezzo al cadavere e si tolse il mantello coprendo la giovane e asciugandole il volto sporco di sangue. “Dobbiamo tornare indietro” pensò “e senza farci notare troppo”. La scosse, ma più che stare in piedi la ragazza non riuscì a far molto o a dire il suo nome, così Lily cercò prima una carrozza e dopo averla trovata ed essersi assicurata che non vi fossero altri passeggeri, salirono entrambe. L’unica scelta possibile era tornare alla locanda.
Giunte alla locanda Lily constatò che John Clare non fosse più nei paraggi, o almeno così credette finché non scorse la sua sagoma seduta distante da qualsiasi altro tavolo, intento nella lettura di uno dei Penny Dreadful.
Sospirò annoiata alla vista di quella creatura e rivolse nuovamente l’attenzione alla sconosciuta, poi chiese dei panni e dell’acqua calda alla cameriera che glieli portò subito. Tutti le guardavano, incuriositi ma senza aiutare o dire qualcosa. Lily fece sedere la giovane dai capelli rossi e le si inginocchiò difronte pulendole delicatamente le mani ancora incrostate di sangue. Le chiese ancora una volta come si chiamasse e fu solo dopo qualche minuto di silenzio che la ragazza farfugliò parole sconnesse.
«Che cosa? Per favore cara potresti ripetere?» Le chiese Lily avvicinando l’orecchio alla bocca di lei.
«N-non ricordo… devo f-fuggire. Lui mi sta cercando.» La giovane sconosciuta iniziò ad agitarsi, a guardarsi intorno impaurita e ansiosa di scappare.
«Da chi devi fuggire? Puoi stare tranquilla ora sei al sicuro, non devi più fuggire da quell’uomo. Non c’è più!» Lily la tenne ferma, cercando l’aiuto della cameriera che con prontezza fermò la ragazza dalle spalle.
«No. N-non è… Mi sta cercando, devo andar via di qui o mi troverà. Lui vede ogni cosa, conosce ogni luogo. Nessuno può aiutarmi.»
«Io posso aiutarti. Chi è quest’uomo? Dimmelo!» affermò Lily quasi con rabbia.
«A-Adam…» disse la ragazza soffocando la voce, come se il solo nome potesse far comparire da un momento all’altro l’uomo che tanto temeva.