Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.
Adesso abbiamo tutto. In questi anni abbiamo intitolato ogni cosa a Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino: libri, film, documentari, e adesso – in pieno spirito moderno – anche un Serie Tv. Disponibile su Amazon Prime Video, Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino (qui trovate la nostra recensione) racconta la storia di Christiane F, un’adolescente che – durante gli anni 70 – ha iniziato la sua esperienza con la droga. Tutto quello che vediamo all’interno della serie prende spunto dalla realtà del libro e del film, ma niente di ciò che vediamo nutre la stessa essenza. Lasciando da parte il libro e concentrandoci di più sul paragone cinematografico subito spiccherà ai nostri occhi la mancata realtà, l’autenticità totalmente assente di una storia che non ha il diritto di vivere nella bambagia di un’ambiente comodo, sistemato, curato. Christiane F e i suoi amici non hanno mai vissuto all’interno di nessuna cura. Hanno scavato con le loro mani la fossa della disperazione e l’hanno riempita di siringhe, acidi e sofferenza: la fossa se la sono scavati da soli, si sono fatti male, si sono annientati. Ma la serie, questo, non lo racconta. O se lo fa, lo fa distrattamente perché troppo concentrata sul decoro della discoteca Sound, un luogo che nella serie diventa il più bello del mondo ma che in realtà si è sempre contraddistinto per il suo ambiente degradato in cui perfino Christiane si sentiva a disagio senza l’eroina.
La Serie Tv Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino ti fa arrabbiare fin dal primo secondo. Se è vero che la presentazione è fondamentale, lei sbaglia subito. Appena si ammacca il tasto play, e si lascia procedere, la sensazione che tu stia per guardare qualcosa di totalmente sbagliato e lontano dalla realtà appare subito: è tutto così edulcorato che ti fa chiedere cosa realmente sia, se una storia sulla droga o un Gossip Girl qualsiasi. Tutto quello che hai di fronte è sbagliato, e perfino il contesto storico che hai di fronte sembra una menzogna.
Gli anni ’70. Ma dove sono gli anni ’70 in questa narrazione?
Questo punto è il primo di una lunga serie, il primo rimpianto che il nuovo prodotto Amazon dovrà portar con sé: ha avuto la possibilità di riportare in vita gli anni ’70, ma non lo ha saputo fare. La differenza che sussiste tra l’età attuale e quella raccontata nei film è scovabile forse solo nella mancanza di un telefonino nelle mani dei protagonisti. Vedi che questo oggetto manca, e allora ti ricordi che la serie è ambientata nel passato, perché altrimenti non te ne saresti accorto. I costumi di scena sono poco caratteristici, non urlano gli anni ’70 ma li fanno tacere per barattarli con la voglia di far apparire Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino come una storia moderna: questo accade nella serie. Si ammazza la sua essenza con l’intenzione di farla piacere al nuovo pubblico, si baratta l’autenticità crudele per la moda, per farsi piacere. Ma senza tutto questo I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino non esistono, e quello che abbiamo di fronte è finto, surreale, perbenista, ricoperto di lustrini che vogliono edulcorare una storia che – per definizione – nasce sporca.
Philipp Kadelbach – il regista della serie – cerca di riportare sullo schermo anche David Bowie, illudendosi che per farlo possa servirsi di un attore che – per qualche scena – possa interpretarlo. Fin dalla sua prima apparizione lo sappiamo: è una scelta sbagliata che si gioca l’occasione di utilizzare il personaggio del cantante in modo intelligente, come vero e proprio punto cardine nella vita di Christiane. Il film e il libro raccontano di lui in modo poetico, narrano il punto di vista di una ragazzina che ama il proprio idolo alla follia e riesce finalmente ad andare al suo concerto. Lo mostrano come un elemento essenziale che rende quell’adolescente sulla via della perdizione ancora una ragazzina, le conferiscono un’innocenza che sta per perdere. Proprio per questo motivo – sia nelle pagine del libro che nel film – Bowie è l’ultima cosa a cui Christiane assiste senza l’ausilio della droga, è l’ultimo atto finale della sua vita normale. Solo dopo il concerto la ragazza entrerà a far parte del circolo della droga. Nella Serie Tv la protagonista inizierà a drogarsi cronologicamente nello stesso ordine temporale, ma in modo totalmente diverso: quel concerto non lo vedrà mai perché i suoi amici hanno venduto i biglietti per procurarsi l’eroina e questo implicherà non entrare all’interno dello stadio. Bowie verrà utilizzato in una scena in modo surreale, e il suo camerino diventerà il primo posto in cui Christiane – entrata di nascosto durante la performance del cantante – proverà l’eroina. Ed è così David Bowie perde tutto il suo fascino all’interno della serie.
Portare alla luce gli anni in cui si sceglie di ambientare una serie è fondamentale. Lo abbiamo visto anche con la Serie Tv Stranger Things: tutto inneggia agli anni ’80, dai vestiti alla colonna sonora.
La musica ha il potere di contraddistinguere un prodotto. Selezionare la sua colonna sonora – in un prodotto che vuole urlare gli anni ’70 – diventa un atto necessario, un atto di identificazione. Ma ecco qui che, ancora per una volta, la serie sceglie di aggiungere un rimpianto alla sua lista sbagliando totalmente la sua playlist. Gli accenni a David Bowie sono decisamente troppo brevi, e quello che più fa storcere il naso è la scelta da parte della produzione di interrompere Heroes per far partire un riadattamento di una canzone di Sia durante la prima esperienza di Christiane con la droga. Quella scena, avvenuta negli anni ’70 e simbolo dell’inizio della perdizione della protagonista, porta il sottofondo musicale di qualcosa che sarebbe nato molti anni dopo e che nulla ha a che vedere con lo spirito degli anni ’70. Ed eccoci qui con un’occasione sprecata tra le mani. I Cigarettes After Sex si fanno paladini all’interno della serie con la loro Nothing’s Gonna Hurt You Baby, una canzone bellissima certo, ma nostra. E I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino non sono nostri, sono lontani, gridano un’epoca che non fa parte della nostra.
Perché la verità è che Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino potrebbe non essere altro che una versione tedesca di Euphoria o la storia di una ragazza che, a un certo punto, ha deciso di cadere nel tunnel delle droghe. Tutto questo era davvero evitabile. Stavamo per avere la possibilità di rivivere la storia di Christiane F, ma tutto questo non è stato possibile e il risultato suona come un volo che non decolla mai. Tutto rimane fermo e la protagonista, nonostante tutta la sua perdizione, rimane sempre impeccabile. Non un capello scombinato, non un’occhiaia. L’unica volta in cui la vediamo come realmente dovrebbe essere è solo durante la sua crisi di astinenza, ma passata quella i segni del declino non risultano tangibili. La sua perfezione ci estranea dal mondo che conosciamo di Christiane F e ci fa credere che quel mondo così oscuro potrebbe non torcerci un capello. Nel film la ragazza che vediamo all’inizio e la ragazza che vediamo alla fine sembrano totalmente diverse ed è normale che sia così. Il volto della perdizione possiede totalmente lo spirito di una quattordicenne e quello che abbiamo davanti non è altro che un corpo che, pian piano, si sta trasformando nel frutto di ciò che si è iniettato. Nella serie Christiane è perfetta, e quello che ha portato dentro il suo corpo non accenna mai a farci vedere il suo – tragico – decadimento.
Chiariamoci: non pretendevamo un racconto uguale al film o al libro. Avevamo messo in conto la sua possibile diversità con gli originali e la cosa andava bene, ma far perdere l’essenza di una storia è un altro paio di maniche.
La paura, quando si tocca un cult così difficile e dalle tematiche così delicate, di non poter essere all’altezza deve esserci. Ciò che indubbiamente dovrebbe ferire gli autori della serie risiede nella lunga lista di rimpianti che hanno collezionato puntata dopo puntata: avevano l’occasione di fare qualcosa di grande, qualcosa che avrebbe potuto far rumore e imporsi negli schermi in modo preponderante, ma tutto questo non è successo perché si sono voluti dimenticare l’autenticità, la crudeltà di un mondo che non hanno vissuto. Gli attori del film – a parte la protagonista e i suoi amici – erano dei veri tossici e questo fu fondamentale per trasferire l’essenza di un mondo che, se non conosci, non puoi sempre ricostruire alla perfezione. Certo, cerchi di fare del tuo meglio ma i cliché sono dietro l’angolo pronti a rovinarti la festa. La regia della Serie Tv aveva un grande vantaggio in questo senso perché i dettagli sulla vera storia di Christiane F sono infiniti e risaputi, la documentazione per essere crudi e reali c’era, e loro hanno scelto di sacrificarla in nome del 2021. Ed è così che la serie perde il contatto con la realtà: urlando il 2021 in un’ambientazione che pretende un’altra data.
L’uscita del film fu accolta in modo controverso, come era normale che fosse. Erano solo gli anni ’80 e il mondo della droga in mano a dei ragazzini faceva paura. Adesso siamo anestetizzati totalmente riguardo all’argomento, certo, non ci stupiamo più, ma quel film ha ancora il potere di distruggerci perché sembra un vero e proprio documentario all’interno di un mondo rotto e malfunzionante. La Serie Tv aveva le stesse possibilità di farlo e se non ci è riuscita è solo colpa del sua, del suo stile troppo perfetto. Aveva la possibilità di raccontare un mondo in cui la droga era ancora un tabu e per farlo si stava servendo della più famosa storia sulla droga di sempre, poteva trasportaci dentro la narrazione donandoci – per quei 8 episodi – degli occhi nuovi, innocenti. Poteva farci ricordare cosa significasse davvero quel mondo sporco, ma ha preferito sistemare bene le luci della discoteca del Sound.
Noi, I Ragazzi Dello Zoo Di Berlino aveva un potenziale enorme ma alla fine ha scelto di diventare il frutto della nostra epoca dimostrandoci ancora volta che l’apparenza spesso può essere tutto e che in nome di questa si possa sacrificare una storia. Bastava la realtà, bastava scavare all’interno dei protagonisti e svuotarli di tutti i cliché che hanno deciso di rifilargli, bastava farli essere solo dei ragazzini innocenti che perdono la rotta perché non hanno una vera a casa. Invece ciò che troviamo di fronte a noi è un urlo che non riusciamo a capire, fatto di parole incomprensibili e un’empatia che non riusciamo a sviluppare. Vediamo dei ragazzini che della vita sanno ben poco e di cui disconosciamo praticamente tutto, ciò che sappiamo è che hanno bisogno di una dose per stare meglio e questo non è sufficiente per sviluppare una storia del genere. Non basta una siringa per parlare di Christiane F, non basta un attore nei panni di David Bowie per parlare degli anni ’70.
La storia reale – facente parte del film e del libro – è al sicuro, non è stata rovinata per il semplice motivo che non è stata toccata. Rovinare qualcosa significa riportarla sullo schermo, e qui – se non fosse per qualche dettaglio – la storia di Christiane F è quasi assente. La sua essenza è stata spazzata via e con lei tutto il dolore che una storia del genere comporta, e questo è un vero peccato. Potevamo ancora tornare ad avere gli occhi innocenti. Potevamo riportare in vita l’anima di una ragazzina che si perde raccontando come, alla fine, non si sia ritrovata più.