Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.
Era l’ormai lontano 2015 quando su Netflix arrivava per la prima volta Jessica Jones. Una serie tv che fin da subito ha mostrato le sue potenzialità e che, anche se non godeva più del fattore sorpresa (quello glielo aveva strappato Daredevil essendo la prima serie Marvel della piattaforma streaming), è riuscita comunque a farlo con una spettacolare prima stagione. Perché Jessica Jones è adulta, ancora più di Daredevil. Il sesso, il linguaggio scurrile, le scene violente sono il suo pane quotidiano. Una violenza mai gratuita, ma sempre giustificata nei temi e nella narrazione. Dalla finestra rotta della porta dell’appartamento entriamo non solo nella vita della protagonista, ma in una di quelle serie tv che già dal pilot sappiamo ci lascerà il segno. A cominciare dal modo in cui gli eroi ci vengono presentati: sfumati, complessi, pieni di problemi e paure. Avere dei poteri automaticamente non dà delle responsabilità, né forza a essere coraggiosi. I poteri non garantiscono serenità, anzi tutto si amplifica, soprattutto il senso di colpa dovuto agli errori o la sensazione di essere sempre osservati.
Lo aveva fatto Daredevil, lo riprende Jessica Jones spingendosi ancora oltre, prendendosi dei rischi enormi. Ma il gioco è davvero valso la candela?
La risposta è facile: solo nella prima stagione. Poi i costi hanno superato i benefici, decretando il tracollo di una serie tv destinata alla grandezza. Perché Jessica Jones ha compiuto un errore fatale e imperdonabile. Uno dei migliori villain degli ultimi anni, forse di sempre, è stato ucciso banalmente e deludentemente da una Jessica Jones che l’ha battuto al suo stesso gioco: usa la mente e lo inganna.
È senz’altro il più grande rimpianto di Jessica Jones. Perché non ha tenuto Kilgrave in vita come Daredevil ha fatto con Wilson Fisk? Il villain di Vincent D’Onofrio ha agito da dietro le quinte nella seconda stagione, come il grande burattinaio che tira i fili del suo spettacolo, avendo poi la possibilità di tornare nel terzo capitolo per il definitivo scontro con il Diavolo di Hell’s Kitchen. Daredevil non si è privato di un nemico così carismatico, così amato, così ben fatto. Soprattutto non si è privato della perfetta controparte del suo protagonista.
Infatti, come in Daredevil, ogni cosa in Jessica Jones passa attraverso il rapporto tra l’eroe e la sua nemesi.
Da un lato c’è Jessica Jones, l’eroina mancata. Ci ha provato alla sua maniera: senza un nome di battaglia, senza costume, rimanendo sempre sé stessa. In fondo, se ci pensiamo bene, una maschera lei la indossa di già: il suo distacco, sarcasmo e indifferenza costituiscono quella corazza così dura che si è creata per proteggersi dai traumi passati, dalle fragilità, dal desiderio di credere ancora in quegli ideali ormai persi da tempo. Lei non è menefreghista o egoista. Anzi ci tiene, talmente tanto da bere fino a dimenticare perché stanca di quella vita che non ha potuto scegliere.
Dall’altro, invece, c’è Kilgrave, l’antagonista in grado di controllare la mente. Non ha scrupoli, limiti o rispetto per la vita umana. Se ordina, noi obbediamo e non c’è alcun potere che possa contrastarlo. Nemmeno la super forzuta Jessica ci riesce. All’inizio è solo un’ombra minacciosa. Quando appare, però, ne siamo rapiti: con il suo accento, le sue espressioni e la sua interpretazione, David Tennant dona a Kilgrave quell’umanità fredda, resa ancor più terrificante dal suo modo di manipolare il prossimo. La sua presenza è invadente, assoluta, magnetica, insostituibile.
È proprio questa la parola chiave: insostituibile.
Kilgrave non era soltanto ben interpretato, non era unicamente il villain perfetto. È quello che rappresenta a essere importante per Jessica Jones. Lui è un disagio che i personaggi affrontano: tutti loro, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con il controllo. Solo alzando la testa, anche se lo sforzo è enorme, possono uscire da quella sottomissione. Solo capendo di poterlo fare possono essere davvero liberi. È in questo modo che Jessica sfugge al controllo di Kilgrave un volta per tutte.
Per questo motivo la sua morte avrebbe pure avuto un senso. Jessica non uccide solo il mostro, ma anche ciò che rappresenta: quel controllo da cui tutti i personaggi riescono a uscire. Ma non così, non nel modo in cui è avvenuta.
Un antagonista spietato, crudele, terribile ma con una profonda storia alle spalle come Fisk o Kilgrave, merita spazio, merita che il suo ciclo si chiuda in maniera spettacolare e gloriosa. Per uno è successo, per l’altro no. Kilgrave se n’è andato in modo rapido, improvviso, con una resa dei conti poco efficace.
È vero, ci sono delle incongruenze nel comportamento di Kilgrave, non giustificabili unicamente con la sua imprevedibilità: ad esempio, che gusto potrebbe avere un sadico manipolatore come lui a far uccidere Jessica da dei poliziotti? Ciò però va in secondo piano non solo grazie a un immenso Tennant, ma anche perché di questo eterno bambino narcisista ci viene raccontato tutto: ci viene detto perché è diventato così e perché esistono persone del genere. In breve Jessica Jones risponde a tutte le domande che ci poniamo sul suo conto.
E c’è di più. La grandezza di un villain si vede anche nel modo in cui ci fa vacillare, facendoci chiedere: chi ha davvero ragione?
C’è un momento in cui l’amore di Kilgrave per Jessica sembra autentico e non è solo pura ossessione. È disposto a cambiare per lei, persino a essere un eroe. Per Jessica superare i mesi di abusi è impossibile. Le azioni dell’uomo sono orribili e non possono mai essere giustificate, ma capite forse sì. È proprio lì che Jessica si ferma, che non comprende che il suo amore potrebbe cambiarlo realmente. Mettendolo di fronte ai suoi genitori, rinchiudendolo in una gabbia, lo riporta al punto di partenza. E così bene e male si confondono, come succede nella vita reale: possiamo davvero accettare un’eroina che tortura sadicamente l’uomo che ha abusato di lei? Possiamo “tifare” per un antagonista diventato tale perché gli è mancato l’affetto per tutta la sua vita?
Anche qui, in queste domande, sta la forza della prima stagione di Jessica Jones. I difetti c’erano ma passavano in secondo piano di fronte a un villain come Kilgrave e al suo significato.
Quindi la domanda da un milione di dollari è: come si fa a rimpiazzare un antagonista di questo calibro? Semplice: non si può. Perché quando è mancato un nemico all’altezza tutti i problemi di Jessica Jones sono saltati fuori.
Nelle successive due stagioni ci sono state idee interessanti, ma realizzate malamente. Tredici episodi erano tanti pure con Kilgrave, figuriamoci senza. La trama è diventata lenta, la creatività sembra essersi prosciugata, la sceneggiatura si è fatta confusa, la ripetitività dei momenti è diventata esasperante e le storie dei personaggi secondari non hanno più funzionato. Siamo interessati a loro, ma non così tanto da riempire intere puntate di cui potevamo fare a meno. Almeno la terza stagione ha provato a introdurre un villain interessante: Gregory Salinger, anche senza poteri, riesce a dare a Jessica più grane del previsto. Però non ha la minima possibilità di competere con Kilgrave e tutto ciò che si portava dietro. Né l’ha avuta Trish. Nella seconda stagione poi non c’è nemmeno un antagonista principale. Ci sono alcune figure pericolose come Alisa e il dottor Clark, ma sono più vittime delle circostanze che dei veri e propri villain. Krysten Ritter non riesce da sola a salvare baracca e burattini. Perché, in fin dei conti, un eroe ha bisogno di un nemico all’altezza da combattere. Senza contare che negli occhi avevamo ancora la meravigliosa seconda stagione di Daredevil che, forse, è stata persino superiore alla prima.
Anche se i paragoni non si fanno, viene spontaneo chiedersi: perché Jessica Jones non ha seguito le sue orme? Ok, magari voleva distanziarsi da Daredevil, ma alla fine ha davvero pagato? La risposta a questa domanda la conosciamo tutti.
Semplicemente quando Jessica Jones si è trovato a scegliere se continuare o fermarsi, se prendere una strada piuttosto che un’altra, ha imboccato il sentiero sbagliato. Ci ha fatto capire che, quello che avevamo visto nella prima stagione, era solo una grandissima illusione. E alla fine, tutto si può riassumere con una sola domanda: “ma quando torna David Tennant?”