Speravo de morì prima è stata breve ma intensa. In sei puntate ha riassunto un anno e mezzo di carriera – l’ultimo – del più grande Capitano giallorosso. Holly e Benji, per dire, in sei episodi non riusciva a far vedere nemmeno una rovesciata completa.
Gli ultimi novanta minuti di Francesco Totti, giocati contro Spalletti ma anche contro il tempo. Potremmo dire che questa esperienza sia finita qui, ma in Italia – Pirlo lo sa – non funziona come in America. La partita non finisce al novantesimo, neanche per sogno. In questo siamo davvero troppo italiani, direbbe Stanis La Rochelle. Da queste parti, nessuna partita è mai veramente finita senza l’unica cosa più elettrizzante di una partita: il post-partita. C’è proprio una cultura del dopo, un’insana voglia di prolungare indefinitamente le sofferenze dopo una sconfitta o anche di amplificare il piacere dopo una vittoria. L’analisi delle tattiche, degli schemi di gioco, i replay delle prestazioni individuali e, soprattutto, i voti in pagella, sono un must irrinunciabile cui non vogliamo assolutamente sottrarci.
E allora, dopo aver visto Speravo de morì prima fino al triplice fischio, vi aspettiamo per il Senza Giacca di Hall of Series con Caressa, Bergomi e Piccinini.
Partiamo dal mister per poi sottoporre al giudizio tecnico del Club tutta la formazione in campo e persino le riserve in panchina.
Sulle radio della Capitale stanno dicendo proprio adesso che chi non arriva fino in fondo, è della Lazio.
PANCHINA
Luciano Spalletti
Speravo de morì prima di vedere Luciano Spalletti nei panni del villain di una serie tv. Eppure è successo e, chissà, magari farà pure curriculum. Deve essersi presentato a Pallotta col cappello in testa e gli occhiali scuri: I am the danger. C’è una discrasia tale tra lo Spalletti dei flashback e quello che si apposta di notte fuori dalle stanze dei giocatori che, se non fosse realtà, penseremmo che gli sceneggiatori abbiano contratto la variante Benioff e Weiss: manco Daenerys Targaryen è passata da eroina a villain in maniera così repentina. Quel che è certo è che la carriera da cattivo di Spalletti non sfiora neanche di striscio le vette inarrivabili di un Walter White a briglie sciolte.
Analizziamola un attimo: arriva alla Roma per far smettere Totti e quello, a 40 anni, strappa un altro anno di contratto. Lo manda in tribuna e si becca la standing ovation di tutto l’Olimpico (che invece, al povero Luciano, riserva bordate di fischi). Lo tiene in campo 10 minuti a partita e quello segna più di prima. Lascia intendere che la Roma potrebbe fare anche senza e quello invece continua a risolvere le partite decisive. In preda alla disperazione, lo butta in campo sull’1-2 a tre minuti dalla fine (vai Checco, fammi vedere che combini stavolta) e quello ne segna due vincendo da solo una partita persa (Checco, mi ha rotto il ca**o). Alla fine Totti saluta la Roma, ma la saluta pure Spalletti. Che il vero villain non sia lui?
Voto: Schema tattico da rivedere.
Marcello Lippi
Pare che Mattarella lo abbia convocato al Quirinale per farsi insegnare il passo sulla coreografia dell’Inno di Mameli. Stile, eleganza e qualità.
Voto: 7
PORTIERE
Vito Scala
Quasi trent’anni di onorata carriera alla Roma, mai un trasferimento, mai una cessione. Trent’anni di fedeltà assoluta. No, non è Francesco Totti. È di più: è Vito Scala. Le sassate contro Francesco le ha parate tutte. Quella porta da difendere è il suo habitat naturale, tra i pali mostra la stessa padronanza di Manuel Neuer. In tempi non sospetti si era candidato per il bonus baby-sitting, poi gli hanno comunicato che per ragazzini sopra i 40 era previsto solo un rimborso spese.
Voto: 7. Morirebbe piuttosto che farsi segnare.
LINEA DIFENSIVA
Papà Enzo
Sì, i Galacticos. Belli, come no. Ma che se magna a Madrid? No perché all’ombra del Cupolone, con la pancia piena di bucatini, si sta come il pecorino a mezzogiorno sulla Carbonara. E sputaci sopra. Papà Enzo è il difensore che tiene alta la linea del fuorigioco. Non lo vedi e non lo senti, ma quando credi di averlo superato sgusciandogli dietro, ecco che il guardalinee ti alza la bandierina. Enzo se la ride sornione, perché lo schema è quello lì. Ti indirizza dove vuole senza farti capire niente. E quando meno te lo aspetti, avanza in area di rigore per infilarti una testata sotto il set. Così, una freddura al novantesimo. E magari pure al limite del fuorigioco.
Voto: 9. Poche parole, tanta sostanza.
Angelo e Giampiero
Loro li devi buttare in campo insieme sennò la squadra non regge. Una rivisitazione dei gemelli Derrick ma con meno smalto. La catapulta te la fanno solo se c’è da ordinare la cena. Un po’ inconsistenti sulla linea difensiva, i classici centrali che tirano via il piedino e si affannano in contropiede. Passano sei puntate a mangiare a scrocco: mentre Francesco si prepara per l’addio, loro sono pronti per la nuova stagione di 4 Ristoranti. D’altronde, hanno meno tatto di un Cannavacciuolo affamato durante un pressure test di MasterChef.
Voto: 5. In quel punto la difesa è di burro.
Mamma Fiorella
La chiamavano The Wall, la muraglia. Mamma Fiorella è il difensore centrale che tutti gli allenatori vorrebbero avere. Tignosa, statuaria, irremovibile, mamma Totti è il mastino dell’area di rigore. Guai a metterci piede, ti entra in tackle sulla tibia e ti lascia steso per terra. Paolo Montero e Pepe a confronto sono due dilettanti.
Voto: 8. Ha rischiato qualche rosso diretto, ma le è bastato guardare in cagnesco l’arbitro per assicurarsi tutti i novanta minuti.
CENTROCAMPO
Daniele De Rossi
Aspettava di togliersi quel “Futuro” dalla fascia di Capitano da almeno dieci anni e invece niente. Gli è toccato giocare nella Roma negli anni di Totti. Che poi uno, arrivato alle soglie dei trent’anni, pensa: vabbè dai, prima o poi smetterà. E invece niente, ha continuato fino ai quaranta. Tié.
Daniele De Rossi è come il fratello minore di Robert Baratheon: il trono lo vede solo da lontano.
Voto: 5. In Speravo de morì prima gli è mancata la vena. De Rossi senza la vena è come un generale Figliuolo senza stellette.
Radja Nainggolan
Pare che ai tavoli da poker, quando arriva la cresta del Ninja, ci sia un fuggi fuggi generale. Ruba più fish che palloni, tanto che pare abbiano scritturato lui, Francesco e Miralem per il prossimo colpo della banda di Danny Ocean a Las Vegas.
Giocatore istintivo, quando c’è da trovare un corridoio di fuga è disposto a svignarsela da un balcone al sesto piano manco fosse il peggior ladro da appartamenti di Caracas.
Voto: 5 e mezzo.
Miralem Pjanic
Dice una battuta in tutta la serie. Ma tanto basta per far ricrescere i capelli in testa a Spalletti.
Però parla italiano meglio di come batte le punizioni.
Voto: 4.
Cristian
È il fantasista arretrato ancora troppo tenero per il centrocampo, ma già sufficientemente depresso per la vita. Gioca a calcio con lo stesso entusiasmo esuberante con cui addiziona le frazioni. È il gemello triste del Cristian vero, l’unico ad essere più depresso del padre. Così piccolo e già ha capito tutto.
Voto: 7. Con quella consapevolezza lì, nessuna amarezza potrà buttarlo giù.
ATTACCO
Ilary
Ma veniamo alla trequarti offensiva. Le quote rosa di Speravo de morì prima hanno più tigna di tutti gli uomini messi insieme. Segna più di Zlatan, fa più cassanate di Cassano, serve più assist di Tom Becker. Pare che i Friedkin la stiano valutando al posto di Dzeko per l’anno prossimo. Se mamma Fiorella è il muro difensivo, Ilary invece gioca tutta d’attacco. E non ci va tanto per il sottile.
Pare che Spalletti avrebbe accettato più volentieri di guidare la coppia Ibrahimović-Balotelli piuttosto che presenziare una festa di compleanno con la signora Totti. Ilary è la Michelle Obama che sta dietro al Presidente, la Servilia di Giulio Cesare, il Bruno Conti di Pruzzo, la punta che gioca di sponda e ti manda facile facile in rete.
Voto: 8 e mezzo.
Antonio Cassano
Genio e sregolatezza. E non in quest’ordine. Avremmo mai potuto immaginare di guardare una serie tv in cui Cassano è la voce della coscienza che aiuta il protagonista a fare i conti con il distacco? Francamente era più facile azzeccare il look di Achille Lauro al Festival di Sanremo. Imprevedibile quanto una fucilata al volo di un ambidestro, Antonio Cassano è il vero goleador della serie. Uno dei pochi casi in cui la finzione non è all’altezza della realtà.
Alle sue notti romane è ispirata la sceneggiatura di Una notte da leoni. Eccesso e intemperanza, squilibrio puro ed eccentricità: una dose eccessiva di Cassano farebbe danni irreparabili. È talmente folle da risultare persino assennato, una contraddizione in termini che è l’unica chiave di lettura per interpretare il personaggio. Non è neanche finita Speravo de morì prima che già sentiamo il bisogno dello spin-off sulle notti pazze di Antonio Cassano: Speravo de rinasce bono.
Voto: 9. Cassano ha un solo rivale: Cassano, quello vero.
Francesco Totti
Il Re è sempre il Re, anche se vogliono strappargli la corona dalla testa. Certo, scegliersi come voce della coscienza Cassano è sintomo di un qualche disagio profondo, ma quest’uomo è andato avanti con 70 grammi di pasta e niente bombe alla crema per un anno e mezzo senza che nessuno gliene riconoscesse il merito.
Un po’ Rocky, un po’ Mandrake, un po’ Robin Williams e un po’ anche Massimo X Meridio. Walt Whitman pensava a lui quando ha scritto “Capitano, mio Capitano”. È il Re Oltre il Raccordo, quello che non si inginocchia davanti a nessuno. Il bello è che puoi fargli giocare anche solo un paio di minuti: lui il modo di ribaltare la partita lo trova sempre.
Voto: 1+90/10. Copiare Cristian non vale.
A DISPOSIZIONE
Er ferramenta: Falloso, cattivo, lo metti in campo per falciare le gambe del fenomeno avversario.
Voto: Sta mano po esse fero e po esse piuma.
Er prete 1: la prima domanda quando entri in confessionale è sempre la stessa: DE CHE SQUADRA SEI? Una bestemmia sì, ma se sei della Lazio, Gesù non perdona. ‘Tacci tua.
Buono per le mischie in area a 5’ dalla fine.
Voto: gli straordinari de Libeccio.
Er frate: vié qua, ‘ndò vai? Cultore del terzo tempo e del fair play, ma se lo butti in campo la palla non te la molla neanche a torello.
Voto: che amarezza.
Del Piero e Pirlo: veterani a riposo, da gestire col contagocce.
Voto: sì, ma dove sta Bobo Vieri?
Er prete 2: l’ultima puntata ci ha regalato anche Padre Frediani… ehm no, don Mario. Top player di forgia pregiata. Può fare quello che vuole, fantasista che smista perle da qualsiasi punto del campo.
Voto: prima o poi te meno.
Francesco Totti (quello vero): lo puoi mettere dove ti pare. E quando entra nel finale, fa sempre goal.
Voto: Un Capitano c’è solo un Capitano.
Ma veniamo ai Premi del Senza Giacca, per l’occasione consegnati direttamente da Paolo Di Canio.
PREMIO SPECIALE CURVA SUD
Premio riservato al miglior tifoso della serie, consistente in un anno di soggiorni relax, tutte le domeniche alle 15.00.
Candidati: Mamma Fiorella, Vito Scala, Amore della mia vita 2.
Vince (a mani basse): Amore della mia vita 2, che però non si presenta a ritirare il premio.
PREMIO MARK LENDERS
Per il miglior Tiro della Tigre che ha lasciato l’avversario morto a terra.
Candidati: Mamma Fiorella con i ‘tacci tua gentilmente indirizzati alle radio, Antonio Cassano col colpo in Roma-Samp che è costato lo scudetto, Ilary con Piccolo Uomo.
Vince: Ilary. Manco a dirlo.
STATUETTA ROBERTO SEDINHO
Per il personaggio che più di tutti ha rappresentato la filosofia dell’ex calciatore brasiliano: entrarti dentro casa e non lasciarti più.
Candidati: Antonio Cassano, Angelo e Giancarlo.
Vince: Angelo e Giancarlo, che per festeggiare hanno già prenotato il ristorante.
RAFAEL LEAO AWARDS
Per il giocatore che, con un solo tocco, è riuscito a mandare la palla in rete. Il goal più veloce del Raccordo.
Candidati: Antonio Rudiger con la carezza sulla testona di Spalletti; Isabel Totti con il suo Seee Lallero.
Vince: entrambi i candidati a pari merito.