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MultiUniverso – Un piano diabolico, ma inutile (Ep. 5)

New Girl
New Girl

… La domanda ora è: cosa ci fa al Princeton Plainsboro un fastidioso tipo di Los Angeles con il pene fratturato? (leggi l’episodio precedente)

Il dottor House e il dottor Cox, così, vengono accompagnati fuori dal Princeton Plainsboro da quella coppia di poliziotti mal assortita. È così evidente che l’unica cosa che i due sbirri vorrebbero fare è tornare a New York per ingurgitare l’ennesima dozzina di ciambelle, che i presunti colpevoli non hanno neanche provato a opporre resistenza. Hanno le mani dietro la schiena, sono ammanettati come se fossero dei pericolosi criminali. Ma che cosa avranno mai fatto? Molestato la paziente? Che sciocchezza, forse la signora ha abusato un po’ troppo della sostanza prodotta da suo marito, pensò Greg. Escono. La grande porta a vetri della hall si chiude dietro di loro mentre Lisa Cuddy, stanca, rassegnata, amareggiata e con i piedi gonfi, vola nel suo ufficio per chiamare il primo avvocato insonne che a tarda notte sarebbe disposto a intervenire.

Mike & Molly

Intanto il ragazzo moro, con la frattura più insolita che l’ospedale abbia mai visto, continua ad abbaiare all’infermiere di turno.

«Il mio nome è Schmidt. Winston Saint-Marie Schmidt e sebbene io sia un sagittario, la mia pazienza sta per finire. Ho bisogno di essere ricoverato con estrema urgenza prima che il mio “doodoo“» sussurra il ragazzo imbarazzato «prenda una piega imprevista; non riesca più a saltare la staccionata; si spezzi… insomma fate qualcosa!?» implora esausto Schmidt, il quale dopo un volo di innumerevoli ore stipato in economy, vorrebbe solo sprofondare su un letto, anche un letto di ospedale qualsiasi con delle lenzuola di qualità mediocre.

L’infermiere non ha più voglia di ascoltarlo. Sono ormai tre ore che non fa altro che ripetere al ragazzo che l’ambulatorio è chiuso di notte; non ci sono medici per le visite ordinarie, salvo per le urgenze. E la sua non è certo un’urgenza!

Nell’atrio dell’ospedale non è rimasto quasi nessuno. Un signore appisolato sulle sedie dell’ambulatorio dorme stringendosi la giacca al petto; il servizio delle pulizie fa avanti e indietro con la lucidatrice; poi c’è un tipo alto, con il camice ma dall’aria sospetta, il quale non appena l’infermiere si allontana per una pausa, si avvicina furtivo a Schmidt.

«Buona sera, signore. Sono il suo dottore» fa una lunga e pensierosa pausa l’uomo, poi riprende «Io sono il dottor Janiturs, prego mi segua in ambulatorio» proclama con aria solenne il tipo alto e minaccioso, come se avesse imparato a memoria quelle parole.

«Grazie! Grazie, lei è un tesoro» piagnucola pieno di gratitudine Schmidt.

Medico e paziente si dirigono verso la stanza delle visite. L’uomo alto, che indossa un camice sgualcito e fuori misura, con aria decisa chiude a chiave la porta della stanza.

Scrubs

«Perché ha chiuso la porta a chiave?» esclama sorpreso Schmidt.

«È la prassi, signore. Come si fa con gli scoiattoli: se non li chiudi, scappano» asserisce secco il “dottor Janiturs”.

«Le sembro uno scoiattolo?» risponde incredulo il paziente mentre chiude davanti a sé la tenda dello spogliatoio.

«Ha ragione. Uno scoiattolo non si fratturerebbe mai il suo organo più prezioso. Sapeva che lo scoiattolo corre a zig-zag e mai lungo la stessa direzione quando deve fuggire?» aggiunge il dottore, o almeno così si fa chiamare.

«Ma lei è un medico oppure un veterinario?» chiede Schmidt con tono retorico, anche se teme di conoscere la risposta.

«Ah, non ero preparato a questa domanda. Ne avrebbe un’altra, magari sulle marmotte?» risponde il “dottor Janiturs”.

La bocca di Schmidt si contorce in un ghigno di sbigottimento; da dietro la tendina, inizia a togliersi i vestiti. Con estrema calma si sbottona i pantaloni, facendo attenzione a non toccare l’organo compromesso. Ne ha comprato un paio di velluto a coste larghe, erano i più soffici. Farebbe di tutto per impedire al tessuto di aderire all’inguine, anche indossare dei pantaloni terribili. Non sa se essere più disgustato per il suo abbigliamento che per il dolore che prova ogni volta che pensa a Cece. Indossa con altrettanta cura il camice per i pazienti, quello che lascia il lato B scoperto, poi timidamente esce dalla tenda e si incammina verso il lettino dove però è già seduto il dottore, con le gambe accavallate una sull’altra.

Schmidt

«Là dovrei essere steso io, non trova? Ma lei che razza di dottore è? Mi prende in giro?» esclama Schmidt, ora seriamente scocciato.

«Cosa ci hai infilato dentro?» borbotta il finto medico.

«Ma di cosa parla? Io vorrei vedere un altro medico, se non le dispiace» esclama basito il paziente tentando di essere gentile.

«Quando una cosa si rompe, una volta su cinque è colpa di qualcosa che è rimasto incastrato. Mi faccia controllare» dice l’uomo con aria seria, mentre tenta di infilarsi dei guanti sterili, visibilmente troppo piccoli per le sue mani.

Schmidt, stremato, acconsente a farsi visitare. Chiude gli occhi e si distende sul lettino quando all’improvviso il telefono, che teneva nei pantaloni di velluto, squilla. Ma il primo che fa in tempo a rispondere alla chiamata è il dottore:

«Pronto? No, io sono il dottore.» Dall’altra parte del telefono si sente squittire una vocina femminile allarmata. «Schmidt, chi è questo Schmidt? Ah, già, il mio paziente. Sì, lo abbiamo ricoverato. No, non credo ce la farà» risponde il “dottor Janiturs” mentre Schmidt urla minacciandolo di chiamare la polizia.

«Lei chi è? Perché mi sta facendo questo!?» esclama Schmidt iracondo, il quale sta letalmente ripiegandosi su se stesso dal dolore fino a cadere a terra.

Il “dottor Janiturs” si dirige verso la porta e risponde con tono teatrale:

«Perché mi annoio. J.D. era molto più divertente. Me ne vado» esclama il finto medico togliendosi il camice. Prende i vestiti e gli oggetti del paziente, apre la porta e se ne va, lasciando il poveretto seminudo e dolorante sul pavimento dell’ambulatorio del Princeton Plainsboro.

Anche Schmidt ormai lo aveva capito: quello era tutto fuorché un medico. Ma non poteva sapere di essere stata l’ignara vittima di un certo Inserviente del Sacro Cuore. Dopo la partenza del dottor Cox, infatti, J.D. non era stato più lo stesso; non reagiva alle sue provocazioni, non parlava. Così l’Inserviente decise di volare a Princeton, spendendo tutti i suoi risparmi in un volo last second, per farla pagare a Cox. È stato proprio l’Inserviente a convincere la paziente, Skyler White, a denunciare House e Cox per molestie e negligenza.

«Adesso che ci penso, ora che Cox è stato arrestato, J.D. sarà ancora più triste. Dannazione, non è servito a nulla tutto questo!? Perché! Perché mi fai questo!» urla disperato l’Inserviente mentre esce dall’ospedale.

Janitor

Schmidt è in ginocchio, nella stanza delle visite, con un camice che lascia intravedere le sue parti intime più pregiate. Non ha più nulla: non ha telefono, non ha soldi, non ha scarpe e non ha vestiti. Non ha nemmeno i suoi tristissimi pantaloni di velluto a coste. Ormai è quasi l’alba, è esausto e non sa dove andare. Dopo essersi rialzato a fatica dal pavimento, esce dalla stanza. Ha un’aria frantumata, la pelle tirata, è nervoso e seminudo. Una guardia notturna lo intercetta e lo invita a tornare nella sua stanza. Schmidt prova a spiegargli che si tratta di un malinteso, che lui non è un paziente ma è stato rapito da un finto medico che lo ha chiuso dentro l’ambulatorio come se fosse uno scoiattolo. Allarmato, la guardia vuole sapere il nome del dottore.

«Il dottor Janiturs, ma non credo fosse un vero dottore. Forse era un veterinario esperto di marmotte» esclama concitato Schmidt.

La guardia lo osserva perplesso per qualche istante. Il ragazzo non sembra essere in sé; non esiste nessun medico con quel nome e lui non ha visto passare nessuno nella hall. Poi, continuando a fissare il paziente con aria incerta, china la testa sulla ricetrasmittente e richiede un intervento urgente. In poche manciate di secondi arrivano quattro infermieri vestiti di bianco per riportalo nel reparto di psichiatria.

«Ehi, che cosa state facendo? Dove mi state portando? Toglietemi le vostre mani sudaticce di dosso: sapete quanto mi costa tenere la mia pelle così elastica e luminosa?» urla spaventato Schmidt.

Nessuno sembra ascoltarlo.

«Non sono un paziente, secondo voi me ne andrei in giro per l’ospedale indossando questo straccetto quando potrei mettere il mio “mono” da camera?» continua Schmidt fino a quando un infermiere gli somministra un sedativo per tranquillizzarlo. Schmidt chiude gli occhi. Serenamente.

Schmidt

Non si era mai sentito così sereno e in pace con se stesso.

Due mesi passano in fretta quando si ha l’opportunità di pensare solo al proprio benessere psicofisico, e Schmidt non era mai stato così bene e così in pace con l’Universo. Ah, il Princeton Plainsboro, che luogo meraviglioso. Pensa. Due mesi di terapia seguito da esperti di prima classe, eccellenti cure per il suo “doodoo” che finalmente è libero di librarsi nell’aria come una fenice. Sua madre? Un pensiero del passato. La voglia di ingurgitare schifezze? Passata anche quella. Tutto intorno a lui brilla di una luce nuova. Lui si sente un uomo nuovo ed è pronto per tornare alla realtà. Dopo due mesi.

«Due mesi! Dannazione. CECE!» pensò Schmidt allarmato, dopo aver realizzato per la prima volta di essere scomparso nel nulla sia per la sua ragazza che per i suoi amici. I suoi familiari, forse, non hanno nemmeno avvertito la sua assenza. Ma Cece, chissà come deve essere stata preoccupata. Non ha pensato nemmeno una volta di contattare qualcuno per avvertirli. Che amico e fidanzato ingrato. Il suo passaporto, il suo telefono e i suoi documenti gli sono stati rubati da quel finto medico. Che senso avrebbe chiamare a casa, ora? I suoi pensieri scorrono veloci, non c’è tempo. Esce di corsa dall’ospedale e sale sul primo autobus, rubando il posto a una vecchina sulla sedia a rotelle, e si dirige senza biglietto e senza documenti alla volta di Los Angeles: dev’essere questa la sensazione che si prova a essere poveri. Pensa, mentre guarda il paesaggio che cambia sotto i suoi occhi. Anch’essi nuovi e pieni di luce nuova.

New Girl

Il loft è vuoto.

Per fortuna che un mese prima aveva nascosto nel palazzo una decina di chiavi di riserva. Sapeva che prima o poi sarebbero state utili. Non c’è nessuno, sono tutti fuori. Schmidt non vede l’ora di annusare il suo balsamo all’orchidea e i suoi vestiti. Apre la porta della sua camera, in estati, come fosse la prima volta.

«Dove diamine sono le mie cose?» urla in falsetto raggiungendo le note più alte della scala musicale.

Schmidt è fuori di sé. In sua assenza qualcuno aveva dormito nel suo letto, toccato e sostituito le sue cose. Si sente tradito, proprio come uno dei Sette Nani. Anche se in quanto a bellezza, pelle molto pallida, labbra rosse e carnose e capelli corvini si sentiva di più Biancaneve. Inizia a rovistare istericamente ovunque. Il suo guardaroba è stracolmo di vestiti da donna in stile anni ’50. Chiunque abbia occupato la sua stanza, ha decisamente buon gusto. Pensa mentre tirava fuori dai cassetti giarrettiere, corsetti, foulard, bigodini, cappellini a righe, fiocchi e tantissimi altri accessori che non aveva mai visto prima, se non in quei film vintage che guardava sua nonna.

Schmidt è così arrabbiato, ma quei vestiti sono così belli, raffinati. In fondo sono nella sua stanza. Perché no, e ne indossa uno: il più elegante.

Eccolo lì, Schmidt, furioso, ma leggermente soddisfatto, che volteggia leggiadro nella sua stanza – che ora appartiene a una donna sconosciuta proveniente dal passato – con un abito di seta nero che gli stringe i fianchi e lo slancia divinamente.

Mrs. Maisel

«Quel vestito le sta meglio di quanto stia a me, vuole provare anche i miei costumi da bagno?» esclama una voce femminile, squillante e scoppiettante.

Schmidt smette di volteggiare. Si gira di scatto e si ritrova davanti una donna minuta e luminosa:

«Quindi sei tu che mi hai rubato la stanza. Chi diamine sei?» chiede Schmidt con una voce carica di arroganza, ma non senza cortesia.

«Sono Mrs. Maisel, ma può chiamarmi Midge» esclama lei portando una mano sulla guancia.

«Sono arrabbiatissimo, ma caspita: lei è meravigliosa!» esclama lui rapito.

«Oh, così mi lusinga. Me lo dicono in tanti» prosegue Midge arrossendo mentre osserva un uomo vestito da donna che volteggia nel mezzo di una stanza che lei ha occupato temporaneamente.

«Certo, oggigiorno i tempi sono proprio cambiati» aggiunge bonaria e compiaciuta Midge mentre Schmidt continua a fissarla con stupore, rabbia e un pizzico di invidia per quella pelle così levigata e scintillante.

Continua ….

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